L'arte e l'ingegno riflettono sulle modifiche e le trasformazioni del cervello umano e sulla robotica che potrà aiutare o sostituire l'uomo (come sta accadendo nella realtà con il primo impianto del chip di Neuralink, la società di Elon Musk, in un essere umano) da ben prima del cinema. Basti pensare ai robot umanoidi del '700 o all'incubo di Mary Shelley nel suo "Frankenstein", cui più volte ha attinto il grande schermo. Ma non c'è dubbio che proprio il cinema, con la sua potenza visiva e le sconfinate potenzialità della tecnologia al servizio della creazione, ha schiuso porte insospettabile a questo sogno moderno. Le premesse c'erano già tutte nel robot femminile di "Metropolis" (Fritz Lang, 1927), ma il traguardo dell'Intelligenza Artificiale e del cervello bionico è stato sfiorato a partire dalle intuizioni dei grandi narratori di fantascienza: da Isaac Asimov ("L'uomo bicentenario") a Arthur C. Clarke ("2001 odissea nello spazio" per Stanley Kubrick), da Bran Aldiss ("A.I." di Steven Spielberg da un progetto di Kubrick) a Michael Chrichton ("Il mondo dei robot") o Philip K. Dick ("Blade Runner" di Ridley Scott), fino ai viaggi al confine tra fantascienza e sogno del regista-inventore James Cameron tra "Terminator" e "Avatar".
Se però arriviamo al punto di non ritorno oggi sfiorato da Elon Musk, ovvero alle modifiche del cervello umano, con tutte le possibili implicazioni che esso comporta, il ricordo corre immediatamente a "The Manchurian Candidate" nella versione del 2004 di Jonathan Demme che sostituisce il semplice lavaggio del cervello immaginato da John Frankenheimer nell'originale del 1962 - in piena Guerra Fredda - con un microchip installato nel corpo del veterano di guerra Denzel Washington e dei suoi commilitoni. Ma non c'è dubbio che il vero capostipite di un genere di fantascienza noir oggi in pieno sviluppo è la trilogia di "Matrix" ideata dai fratelli (oggi sorelle) Wachowski nel 1999, un anno non casuale. Un futuro anticipato, nove anni prima da Paul Verhoeven con "Total Recall" con Arnold Schwarzenegger, una volta di più ispirato da un racconto breve di Philip K. Dick.
Nell'ultimo ventennio il cinema ha guardato sempre più spesso a questa tecnologia dal doppio taglio, positivo e minaccioso al contempo. Varrà la pena di citare "Resident Evil" di Paul W.S. Anderson, "Upgrade"di Leigh Whannell, le serie tv "My Own Worst Enemy", "The Feed" e "Black Mirror", The Final Cut" di Omar Naim con Robin Williams, perfino l'anticipatore "Vanilla Sky" di Cameron Crowe con Tom Cruise del 2001.
Ma le tracce del sogno/incubo promesso al genere umano dalla tecnologia di Elon Musk si possono facilmente ritrovare anche nel recentissimo "Povere creature" di Yorgos Lanthimos con un cervello interamente cambiato per restituire la vita. Nulla di tanto diverso in fondo dal sogno/incubo di Mary Shelley.
Possiamo riderne con Mel Brooks ("Frankenstein Jr"), oppure farci ammonire dal cinema su ciò che ci accadrà nel futuro. Ma non possiamo far finta che la scienza non sia oggi a un passo dall'"uomo bionico".
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