Una grande apertura alla base del cranio. Come se la mano di qualcuno fosse intervenuta per aprire quelle teste, magari per mangiarne il cervello. E' la particolarità che accomuna tutti i crani ritrovati all'interno della grotta Guattari al Circeo (LT), dove una nuova campagna di scavi condotta dalla soprintendenza archeologica delle province di Latina e Frosinone insieme con l'Università di Tor Vergata ha portato alla clamorosa scoperta, annunciata oggi dal ministro Franceschini, del ritrovamento dei resti compatibili con 9 individui di Neanderthal. "Uno dei tanti enigmi su cui stiamo lavorando e che ci auguriamo di risolvere", sottolinea l'antropologo Mario Rubini, direttore del servizio di antropologia del Sabap Lazio. Nel 1939, quando venne ritrovato il primo cranio, poggiato in terra al centro di quello che sembrava un cerchio di pietre, si era pensato ad un rito di cerebrofagia. Il paleontologo Alberto Carlo Blanc aveva parlato allora di "cannibalismo rituale" e a dimostrazione della sua teoria aveva fatto una comparazione con una collezione di crani provenienti dalle tribù antropofaghe della Melanesia. Il ritrovamento oggi di altri teschi con le stesse caratteristiche potrebbe far pensare ad una conferma dell'ipotesi avanzata dal paleontologo novecentesco, peraltro poi largamente discussa e contestata dagli studi successivi nei quali altri studiosi hanno immaginato come più probabile che il cranio fosse stato svuotato invece da un animale, facilmente le stesse iene che nell'ultimo periodo di 'vita' della grotta l'hanno abitata facendone la loro tana. La realtà, avverte oggi Rubini, è che le possibilità da valutare sono diverse. "Dobbiamo considerare che nel nostro mestiere quello che ci troviamo sotto gli occhi è sempre il frutto dell'ultima 'mano' intervenuta - spiega -. Potrebbe quindi essere stato l'uomo ad aprire il foro occipitale e la iena a finire di sgranocchiarlo, oppure potrebbe essere stata la iena stessa ad aprirlo per assicurarsi un cibo dalle alte qualità nutrienti, oppure ancora potrebbe semplicemente trattarsi di una rottura dovuta al caso". La soluzione, insomma, al momento non c'è. "Stiamo indagando", ripete l'antropologo, "al momento l'unica cosa certa è che abbiamo un femore mangiato da una iena, che su quell'osso ha lasciato persino l'impronta dei denti. D'altra parte sappiamo che le iene amano rosicchiare le parti terminali delle ossa lunghe perché sono molto ricche di calcio e questo serve al loro metabolismo". Per i crani aperti, però, l'interrogativo rimane aperto. "E' uno dei tanti che ci auguriamo di sciogliere - sottolinea Rubini - la soluzione di questi enigmi sarà fondamentale per ricostruire la storia del popolamento dell'Italia dal profondo passato ad oggi".
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