Nel buio pesto di una notte che durava dal mattino, la morte nell'antica Ercolano è arrivata all'improvviso, con una tempesta di fuoco e cenere ardente che ha fatto strage dei suoi abitanti quando la salvezza sembrava ormai a portata di mano. In tanti avevano trovato rifugio nei magazzini dei pescatori, i fornici affacciati sulla spiaggia, dove si facevano coraggio con le lanterne accese, le brocche con l'acqua e con l'aceto per resistere alla caligine che da ore impestava l'aria. "La fine dell'incubo sembrava una questione di ore", spiega all'ANSA il direttore del Parco Archeologico Francesco Sirano, "Tutti qui pensavano che la salvezza fosse vicina". I segni premonitori d'altro canto erano stati meno inquietanti rispetto a Pompei, che pure si trova a non più di 15 chilometri di distanza. Nelle strade di Ercolano, sottolinea, "erano caduti pochissimi lapilli".
Senza contare che il mare, con la sua promessa di vita, era lì a un passo, dieci, venti metri al massimo. Si aspettava la flotta inviata in soccorso da Plinio il Vecchio, grande ammiraglio della marina romana, e qualche singola lancia, forse, era già arrivata. La tragedia, invece, piombò improvvisa e si consumò nel giro di pochi istanti, senza il tempo per nessuno di capire o di mettersi in salvo. Un'istantanea di inimmaginabile terrore, fatto di fuoco e di gas, di travi e di marmi che volano, uomini e animali uccisi all'istante, le carni evaporate in un soffio. Lontano dai rifugi, forse già con un piede in acqua, l'uomo i cui resti sono stati ritrovati in questi giorni dagli archeologi del Parco deve aver visto in faccia l'orrore della sua fine. Prima di esserne travolto, colpito alla testa da una trave, scaraventato in aria da quella furia bollente di gas mefitici e detriti.
"Questo perché il flusso piroclastico si abbatté su Ercolano inaspettato e velocissimo - aggiunge - un inferno che correva a 100 chilometri all'ora e una temperatura che nelle zone più alte della città arrivò anche a 700 gradi, ridotti a 3-400 sulla spiaggia", sottolinea Sirano. In quelle condizioni non ci fu scampo per nessuno, come dimostrano i tantissimi scheletri, oltre 300, di uomini, donne e bambini che proprio qui, nella schiera di magazzini affacciati sulla spiaggia sono stati ritrovati negli anni '80 e '90 del Novecento. ''Tanta gente comune, ma anche persone molto facoltose come la donna ingioiellata che gli archeologi riportarono alla luce a pochi passi di distanza da uno di questi magazzini", spiega ancora il direttore. Artigiani e professionisti, come il medico, forse un oculista, che fu ritrovato in uno di questi ambienti insieme alla borsa con tutti i suoi strumenti da lavoro, oggi in bella mostra, così come gli ori, le monete, i gioielli nel piccolo museo del Parco. Quando dal vulcano scese giù il primo flusso di correnti infuocate era l'una del mattino. Molti forse dormivano, assopiti alla bell'e e meglio nei rifugi. Ma non ci fu scampo per nessuno, di sicuro nemmeno in mare. Quella valanga bollente che trascinava con sé pezzi di case, brandelli di tetti, carcasse di animali, ricostruisce l'archeologo indicando l'alto muro di lava che oggi circonda gli scavi, "spense qui ogni forma di vita umana per secoli e secoli". Dopo quella prima ondata di vapori mortali ne seguirono altre, racconta, "una marea di terra, detriti e lava che in poche ore ha cambiato per sempre il paesaggio della città". Persino il mare qui si è allontanato di mezzo chilometro. Mentre sulla spiaggia di Ercolano e sul suo popolo di disperati in attesa calava una pietra tombale alta 26 metri.
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