"Io? Sono il maestro delle
lacrime". Scherza Francesco Vezzoli mentre cammina lungo le sale
al secondo piano del Museo Correr, tra i dipinti di Lorenzo e
Pietro Veneziano, Giovanni Bellini, Carpaccio, Antonello da
Messina. Dalle finestre entra la luce di Piazza San Marco, della
città che in occasione della Biennale d'Arte, intitolata
"Stranieri ovunque" e che parla di artisti queer, indigeni,
profughi, folk, torna a rimarcare il suo essere "città aperta",
luogo che dà speranze al dialogo. La città "con maggiori ponti
sia fisici che culturali", a dirla con le parole dell'artista.
Al Museo, la cui storia è legata al mecenatismo e
lungimiranza di Teodoro Correr, morto nel 1830, Vezzoli ha
progettato e allestito "Musei delle Lacrime". È una mostra
promossa dalla Fondazione Civici e Venice International
Foundation, a cura di Donatien Grau, fino al 24 novembre.
L'esposizione abbraccia circa vent'anni della ricerca artistica
di Vezzoli, con opere in parte realizzate per l'occasione.
"Dialogo" è il filo rosso che accompagna il progetto. Dialogo
tra i preziosi ricami e le citazioni di dipinti storici, le
lucenti lacrime, che compongono i lavori dell'artista bresciano
e il patrimonio artistico del passato; tra l'allestimento sempre
attuale delle stanze di Carlo Scarpa e opere che, per la maggior
parte del percorso, si mischiano, quasi si confondono con i
capolavori dei Primitivi, del '400 e '500 veneziano. A
distinguerle, a stare attenti, dei supporti dai colori tenui.
"L'opera d'arte è questa. Ovvio che poi ci sono i miei
lavori" dice Vezzoli. Il riferimento è al Correr, ai "capolavori
assoluti della storia dell'arte" presenti, a Scarpa, al potersi
avvicinare a opere che sono "senza cornici, vetro, filtri e
distanziatori". L'artista ha colto l'opportunità di compiere "un
vero e proprio viaggio nella storia di Venezia", dove il
contemporaneo e il patrimonio passato non sono mai in
contraddizione, allestendo quello che definisce "un'indagine
sulle lacrime perdute nella storia dell'arte".
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