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Alle Gallerie d'Italia una mostra riscopre Felice Carena

Alle Gallerie d'Italia una mostra riscopre Felice Carena

A Milano fino al 29 settembre, excursus con cento opere

MILANO, 16 maggio 2024, 16:16

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

Ha uno scopo dichiarato l'esposizione che le Gallerie d'Italia di Milano hanno deciso di dedicare a Felice Carena, pittore che è stato fra i più famosi nella prima metà del Novecento per poi essere dimenticato, ed è quella di farne riscoprire il lavoro e il valore.
    "La riparazione di una grande ingiustizia" l'ha definita oggi alla presentazione il presidente emerito di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli.
    Sono cento le opere esposte fino al 29 settembre nel museo di Intesa in piazza Scala, divise in sei sezioni in un excursus che attraversa gli oltre sessant'anni della sua produzione, dal Ritratto di signorina del 1901 alle nature morte del 1964. Ci sono i disegni donati da Carena alla fondazione Cini (di cui Bazoli è presidente), e la Deposizione del 1939 che il conte Cini donò ai Musei Vaticani, E ancora La perla, sensuale nudo femminile del 1908 e l'enorme Estate (L'amaca) del 1933, dipinto di un metro e mezzo per due scelto come immagine della mostra.
    Ci sono dipinti in cui si vedono le influenze di movimenti e artisti, da Rubens a Cézanne a Millais, il pittore preraffaelita autore del famosi dipinto di Ophelia.
    Ed è un viaggio che parte da Torino, dove nacque nel 1879 (le ricerche per la mostra hanno accertato che è nato in città e non a Cumiana come si riteneva), passa per Roma dove si trasferì nel 1906 grazie a una borsa di studio e dove divenne uno dei protagonisti della secessione romana che fece conoscere movimenti come il pre raffaellismo (in mostra la sua Ofelia), il post impressionismo, e il simbolismo, tocca Firenze dove nel 1924 divenne insegnante e poi direttore dell'Accademia di Belle Arti fino al 1944. Un viaggio che si conclude a Venezia, dove visse fino alla morte nel 1966 continuando la sua ricerca artistica attraverso stili diversi che ha assorbito rimanendo sempre se stesso, per riuscire a rendere la luce interna agli oggetti, e mostrare l'umanità, anche e soprattutto quella dolente. "Nella mia vita ho amato due cose: la luce e i poveri" aveva raccontato lui stesso.
    "Il senso della sua arte è in una autentica religiosità, che forse è uno dei motivi per cui è stato dimenticato, una religiosità che si traduce in amore per gli altri", ha sottolineato Elena Pontiggia, che ha curato l'esposizione con Luca Massimo Barbero, Virginia Baradel e Luigi Cavallo. "E' una esposizione corposa e piena di senso - ha osservato l'assessore milanese alla Cultura Tommaso Sacchi - che mostra come le Gallerie si distinguano per avere non solo l'ambizione di essere un centro di grandi mostre, ma anche di scoperte e riscoperte, di avere un ruolo nella storia della cultura italiana".
   

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