Ha uno scopo dichiarato
l'esposizione che le Gallerie d'Italia di Milano hanno deciso di
dedicare a Felice Carena, pittore che è stato fra i più famosi
nella prima metà del Novecento per poi essere dimenticato, ed è
quella di farne riscoprire il lavoro e il valore.
"La riparazione di una grande ingiustizia" l'ha definita oggi
alla presentazione il presidente emerito di Intesa Sanpaolo
Giovanni Bazoli.
Sono cento le opere esposte fino al 29 settembre nel museo di
Intesa in piazza Scala, divise in sei sezioni in un excursus che
attraversa gli oltre sessant'anni della sua produzione, dal
Ritratto di signorina del 1901 alle nature morte del 1964. Ci
sono i disegni donati da Carena alla fondazione Cini (di cui
Bazoli è presidente), e la Deposizione del 1939 che il conte
Cini donò ai Musei Vaticani, E ancora La perla, sensuale nudo
femminile del 1908 e l'enorme Estate (L'amaca) del 1933, dipinto
di un metro e mezzo per due scelto come immagine della mostra.
Ci sono dipinti in cui si vedono le influenze di movimenti e
artisti, da Rubens a Cézanne a Millais, il pittore preraffaelita
autore del famosi dipinto di Ophelia.
Ed è un viaggio che parte da Torino, dove nacque nel 1879 (le
ricerche per la mostra hanno accertato che è nato in città e non
a Cumiana come si riteneva), passa per Roma dove si trasferì nel
1906 grazie a una borsa di studio e dove divenne uno dei
protagonisti della secessione romana che fece conoscere
movimenti come il pre raffaellismo (in mostra la sua Ofelia), il
post impressionismo, e il simbolismo, tocca Firenze dove nel
1924 divenne insegnante e poi direttore dell'Accademia di Belle
Arti fino al 1944. Un viaggio che si conclude a Venezia, dove
visse fino alla morte nel 1966 continuando la sua ricerca
artistica attraverso stili diversi che ha assorbito rimanendo
sempre se stesso, per riuscire a rendere la luce interna agli
oggetti, e mostrare l'umanità, anche e soprattutto quella
dolente. "Nella mia vita ho amato due cose: la luce e i poveri"
aveva raccontato lui stesso.
"Il senso della sua arte è in una autentica religiosità, che
forse è uno dei motivi per cui è stato dimenticato, una
religiosità che si traduce in amore per gli altri", ha
sottolineato Elena Pontiggia, che ha curato l'esposizione con
Luca Massimo Barbero, Virginia Baradel e Luigi Cavallo. "E' una
esposizione corposa e piena di senso - ha osservato l'assessore
milanese alla Cultura Tommaso Sacchi - che mostra come le
Gallerie si distinguano per avere non solo l'ambizione di essere
un centro di grandi mostre, ma anche di scoperte e riscoperte,
di avere un ruolo nella storia della cultura italiana".
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