Marina Abramović diventa una sorta
di alter ego di Maria Callas nell'installazione cinematografica
'Seven deaths', che è al centro della mostra 'between breath and
fire', che apre al gres art 671, il nuovo centro per l'arte
contemporanea inaugurato lo scorso novembre in un ex
stabilimento industriale a Bergamo.
Quello per la soprano - di cui ricorre il centenario della
nascita - è un amore che ha avuto origine nell'adolescenza
dell'artista serba, che ricorda di aver sentito per la prima
volta la voce della Divina nella cucina della nonna a Belgrado e
di essersi commossa per la sua potenza emotiva. "Non capivo le
parole - era in italiano e ricordo di essermi alzata in piedi
sentendo una scarica elettrica lungo tutto il corpo e
un'incredibile emozione attraversarmi. Iniziai a piangere senza
riuscire a controllarmi; fu una tale emozione da non poterlo
mai dimenticare".
Un'emozione che Abramovic fa rivivere in un'installazione
filmica dove interpreta sette eroine dalla fine tragica
interpretate dalla Callas e accompagnate dai suoi assoli. "Era
così forte sul palco - dice l'artista - ma così infelice nella
vita. E morì davvero per amore. Una volta anche io fui così
innamorata da non riuscire a mangiare, a dormire, a pensare ma
poi - rivela - il mio lavoro mi salvò".
In mostra accanto all'installazione video, 30 lavori storici
e recenti, divisi nelle sezioni Breath, body, the other, death,
tra cui il paesaggio sonoro Tree, presentato per la prima volta
al SKC Cultural Centre di Belgrado nel 1972, in cui la
diffusione tra gli alberi di un canto di uccelli sfuma i confini
tra naturale e artificiale, tra realtà e finzione, tra mortalità
e trascendenza.
"Questa mostra è unica - conclude Abramovic - perché integra
non solo il mio lavoro performativo, ma anche le mie ultime
ricerche sull'uso di nuovi materiali e formati diversi, come
nella mia più recente opera Seven Deaths, un'opera lirica che ho
creato e successivamente trasformato in un'installazione video".
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