(di Laura Valentini)
"Quando avevo tre anni volevo essere
un elefante, ma non ci riuscii; a quindici volevo diventare un
direttore di orchestra ma mi fu detto che avrei dovuto conoscere
la musica. Così mi ridussi a essere un artista". E' il prologo
che l'artista sudafricano William Kentridge pronuncia all'inizio
della serie 'Self-Portrait as A Coffee-Pot', nove episodi di un
film che propone non solo i suoi disegni che si animano sullo
schermo ma anche lui stesso che crea e si racconta, mettendo a
nudo il processo creativo. Composta da nove episodi la serie è
già visibile in streaming in esclusiva su MUBI.
Kentridge spiega il significato della parola tedesca feticcio
Torchluss panik, letteralmente la paura di una porta che si
chiude, ovvero l'ansia che deriva da una scelta che ne preclude
altre, così realizzando il limite all'immaginazione. "Inizi con
l'intento di dipingere il quadro dell'universo e finisci per
ritrarre una caffettiera", spiega l'artista che dialoga con il
suo doppio. E così la caffettiera o, meglio il suo disegno,
serve a spiegare una legge dell'entropia: facendolo a pezzi si
produce il caos. Con la combinazione di animazioni disegnate a
mano, collage, performance e musica, nonché dialoghi con il suo
alter ego, la serie accoglie lo spettatore nell'intimità dello
studio d'artista, dove idee sulla cultura, la storia e la
politica e verità sul modo in cui viviamo e pensiamo oggi
vengono portate alla luce attraverso la realizzazione di opere
d'arte.
Girata nel suo studio di Johannesburg durante e dopo la
pandemia, questa serie di vignette distinte ma interconnesse in
cui l'artista intervista se stesso in un gioco di specchi,
appare un inno alla libertà artistica e al potere
dell'immaginazione, anche di fronte alla sfida dell'isolamento
in spazi chiusi. William Kentridge racconta: "Self-Portrait as a
Coffee-Pot è una serie realizzata per offrire agli spettatori un
senso e uno spirito di possibilità, dal punto di vista
dell'artista. È intesa come un'esperienza polemica su un modo di
lavorare, una fiducia nel dare a un'immagine il beneficio del
dubbio e vedere cosa ne emerge. In fondo si tratta di una serie
che parla dell'ottimismo del 'fare' stesso. C'è un ottimismo
intrinseco nell'attività di prendere un foglio bianco all'inizio
e avere qualcosa alla fine". E la possibilità di rappresentare
se stesso diversi, tanti quali le voci che Kentridge, classe
1955, vuole tradurre nei suoi disegni: "a volte - racconta al
suo doppio che in questo caso è seduto in posa da psicanalista -
sento di avere un rabbino di 65 anni che cresce dentro di me,
altre volte mi sento molto più giovane, oppure una snella
ballerina".
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