Un uomo che si guarda allo specchio mentre dipinge il suo autoritratto: e' l'immagine tripla, tra verita' e rappresentazione, dell'agente segreto sovietico Rudolf Abel (uno strepitoso Mark Rylance) con la quale Steven Spielberg, apre la spy story tratta da fatti reali e ambientata durante la Guerra Fredda, Il ponte delle spie, che chiudera' il Courmayeur Noir in Festival e sara' in sala in 300 copie dal 16 dicembre con 20th Century Fox. Nel film, che si candida ad essere fra i protagonisti degli Oscars 2016, Tom Hanks e' James Donovan, l'avvocato che nel 1962 ha negoziato per la Cia il primo scambio di prigionieri sul ponte di Glienicke in Germania, fra Usa e Urss. In un momento di paura generalizzata, Spielberg ci riporta a un mondo che viveva un tipo diverso di paranoia: non quella del terrorismo ma di una catastrofe nucleare. Lo fa con un film che unisce rigore storico (tra le fonti il libro di Donovan del 1964, Strangers on a Bridge), una sinfonia di personaggi e un tocco di leggerezza. Un equilibrio solido (nonostante qualche prevedibile passaggio retorico) al quale ha contribuito il lavoro sulla sceneggiatura, insieme Matt Charman, che ha proposto il progetto alla Dreamworks, dei fratelli Coen, qui alla prima collaborazione con il cineasta. Nell'America spaventata dal 'pericolo rosso', di fine anni '50, dove si insegnava ai bambini come prima protezione dalla Bomba Atomica la tecnica del 'Duck and cover' (buttarsi a terra e coprirsi la testa con le mani), l'Fbi cattura la spia russa Rudolf Abel (Rylance, attore britannico capace di armonizzare pathos e ironia). L'agente segreto resta fedele, con una calma stoica, al suo 'dovere' e ne affronta le conseguenze, ma c'e' l'esigenza di garantirgli, almeno in apparenza, una difesa adeguata. Viene scelto James Donovan (Hanks) brillante avvocato assicurativo, che era gia' stato nel collegio d'accusa del processo di Norimberga. Strenuo difensore del diritto e della Costituzione, Donovan, sfidando il clima forcaiolo, riesce a far evitare ad Abel, del quel rispetta la coerenza, la pena di morte. Un'abilita' che porta l'avvocato ad essere 'reclutato' dalla Cia per negoziare lo scambio del suo 'assistito', con un prigioniero Usa nelle mani dei Sovietici, il pilota Francis Gary Powers (Austin Stowell), abbattuto al primo volo sul segretissimo U-2. Una volta a Berlino, luogo della trattativa, Donovan pero' scopre che di prigioniero americano da liberare ce n'e' anche un altro, lo studente Frederic Pryor (Will Rogers), nelle mani della Ddr... Berlino, divisa in due, campo di gioco di tre Potenze, ancora segnata dagli effetti della Guerra, e dilaniata dal nuovo shock della costruzione del Muro, viene resa dalla fotografia di Janusz Kaminski, in un affresco di toni plumbei con qualche inaspettato 'respiro' di colore. Grazie anche a un cast di contorno di gran classe, da Amy Ryan, nei panni della moglie lucida e realista di Donovan a Sebastian Koch (Le vite degli altri) enigmatico avvocato 'voce' delle pretese della Ddr, il film arricchisce la rinascita del genere negli ultimi anni (da La talpa a Argo). Un'ondata di spie molto popolare anche in tv grazie a serie come Homeland o The Americans. La flemma di Hanks (che con l'amico Spielberg ha un vero sodalizio, da Salvate il soldato Ryan alla miniserie The Pacific) rende al meglio 'l'eroe normale' Donovan (morto nel 1970), che qualche mese dopo i fatti di Berlino fu protagonista di un'altra impresa: mandato da Kennedy a negoziare la liberazione di oltre 1100 prigionieri a Cuba, catturati dopo la fallita invasione della Baia dei Porci, riusci a far tornare a casa piu' di 9000 persone.
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