Hallelujah di Leonard Cohen è una di quelle canzoni-mondo che più ci sono familiari, ognuno ha la sua versione preferita essendo stata cantata e ricantata da tanti altri musicisti, oltre alle stesse interpretazioni dell'artista canadese con la sua voce profonda e inconfondibile. Jeff Buckley, John Cale, kd lang, Judy Collins, Brandi Carlile, sono solo alcuni tra i tanti oltre all'originale di una canzone profondamente religiosa e che trascende i generi oltre che le generazioni. Fuori concorso a Venezia 78, ad aprire il grande filone dei film documentari sulla musica, passa HALLELUJAH: LEONARD COHEN, A JOURNEY, A SONG di Daniel Geller e Dayna Goldfin. "L'idea iniziale - hanno detto - era ricostruire la genesi di questo pezzo, lavorare sui materiali dell'epoca e mettere in luce gli aspetti più profondi di Hallelujah". Pubblicata nell'album Various Positions (1984), la canzone, densa di riferimenti biblici fa risaltare un doppio Hallelujah, quello del sacro, dettato dalla fede e dal cuore, e quello profano, del godimento dell'amore e del sesso e li collega e li unisce in una sorta di struggente elegia d'amore. Nel documentario ci sono le sue parole, le interviste rilasciate da Cohen ma anche i racconti delle persone a lui vicine, un cerchio che si stringe, con lo spunto dell'Hallelujah, per parlare infine della condizione umana e di questioni profonde come la fede. Una delle scene più belle sono le riprese di uno storico concerto a Tel Aviv nel 2009 quando davanti a 50mila persone in rigoroso silenzio il musicista poeta, ebreo di padre polacco e madre lituana, benedice in ebraico il pubblico, recitando una versione abbreviata della Birkat ha Kohanim. Il film, utilizzando un'incredibile quantità di immagini d'archivio mai viste prima e note personali della vita di Leonard Cohen, diventa esplorazione in musica del suo genio.
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