Sono 5 i film italiani in gara per il Leone d'oro alla 79/a Mostra del cinema di Venezia (31 agosto - 10 settembre), la cui selezione è stata annunciata dal direttore artistico Alberto Barbera con il presidente della Biennale Roberto Cicutto.
Si tratta di IL SIGNORE DELLE FORMICHE di Gianni AMELIO con con Luigi Lo Cascio, Elio Germano, Sara Serraiocco, BONES AND ALL di Luca GUADAGNINO con Timothée Chalamet, CHIARA di Susanna Nicchiarelli con Margherita Mazzucco MONICA di Andrea PALLAORO, L'IMMENSITA' di Emanuele CRIALESE con Penelope Cruz.
Chiara- Chiara ha diciotto anni, e una notte scappa di casa per raggiungere il suo amico Francesco: da quel momento la sua vita cambia per sempre.La storia di una santa, la storia di una ragazza e del suo sogno di libertà. "La storia di Chiara e Francesco è entusiasmante. -dice Susanna Nicchiarelli illustrando il film -Riscoprire la dimensione politica, oltre che spirituale, della “radicalità” delle loro vite – la povertà; la scelta di condurre un’esistenza sempre dalla parte degli ultimi, ai margini di una società ingiusta; il sogno di una vita di comunità senza gerarchie e meccanismi di potere – significa riflettere sull’impatto che il francescanesimo ha avuto sul pensiero laico, interrogandosi con rispetto sul mistero della trascendenza. La vita di Chiara, meno conosciuta di quella di Francesco, ci restituisce l’energia del rinnovamento, l’entusiasmo contagioso della gioventù, ma anche la drammaticità che qualunque rivoluzione degna di questo nome porta con sé.
Bones and all - E' la storia del primo amore tra Maren, una ragazza che sta imparando a sopravvivere ai margini della società, e Lee, un solitario dall’animo combattivo; è il viaggio on the road di due giovani che, alla continua ricerca di identità e bellezza, tentano di trovare il proprio posto in un mondo pieno di pericoli e che non riesce a tollerare la loro natura. Per Luca Guadagnino «C'è qualcosa in coloro che vivono ai margini della società che mi attrae e mi emoziona. Amo questi personaggi. Il cuore del film batte teneramente e affettuosamente nei loro riguardi. Mi interessano i loro viaggi emotivi. Voglio vedere dove si aprono le possibilità per loro, intrappolati come sono nell’impossibilità che si trovano di fronte. Il film è per me una riflessione su chi si è, e su come si possa superare ciò che si prova, specialmente se è qualcosa che non si riesce a controllare in sé stessi.
L'Immensità - Roma,anni 70: un mondo sospeso tra quartieri in costruzione e varietà ancora in bianco e nero, conquiste sociali e modelli di famiglia ormai superati. Clara e Felice si sono appena trasferiti in un nuovo appartamento. Il loro matrimonio è finito: non si amano più, ma non riescono a lasciarsi. A tenerli uniti, soltanto i figli su cui Clara riversa tutto il suo desiderio di libertà. L’immensità è il film che inseguo da sempre: è sempre stato “il mio prossimo film”, ma ogni volta lasciava il posto a un’altra storia, come se non mi sentissi mai abbastanza pronto, maturo, sicuro. "È un film sulla memoria che aveva bisogno di una distanza maggiore, di una consapevolezza diversa - ice Emanuele Crialese -. Come tutti i miei lavori, in fondo è prima di tutto un film sulla famiglia: sull’innocenza dei figli, e sulla loro relazione con una madre che poteva prendere vita solo nell'incontro, artistico e umano, con Penélope Cruz, con la sua sensibilità e la sua straordinaria capacità di interazione con tre giovanissimi non attori che non avevano mai recitato prima. Luana, Patrizio e Maria Chiara sono rimasti bambini sempre e come tali sempre intensamente e immensamente veri".
Monica - Monica torna a casa per la prima volta dopo una lunga assenza. Ritrovando sua madre e il resto della sua famiglia, da cui si era allontanata da adolescente, intraprende un percorso nel suo dolore e nelle sue paure, nei suoi bisogni e nei suoi desideri fino a scoprire dentro di sé la forza per guarire le ferite del proprio passato. Il ritratto intimo di una donna che esplora i temi universali dell’abbandono e dell’accettazione, del riscatto e del perdono. "Negli ultimi anni, il confronto con la malattia di mia madre mi ha portato a riflettere sul mio passato e sugli effetti psicologici dell’abbandono -spiega Andrea Pallaoro- . A partire da questa esperienza ho voluto raccontare una storia che esplorasse la complessità della dignità umana, le conseguenze profonde del rifiuto e le difficoltà nel guarire le proprie ferite. Attraverso un linguaggio cinematografico che prende forma da un costante dialogo tra l’estetica dell’intimità e dell’alienazione, in bilico tra l’interiorità della protagonista e il mondo che la circonda, i miei collaboratori ed io ci siamo addentrati nel mondo emotivo e psicologico di Monica per riflettere sulla natura precaria dell’identità di ciascuno di noi quando è messa alla prova dalla necessità di sopravvivere e trasformarsi.
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