Il rituale delle conferenze stampa
delle giurie che concludono un festival non riserva ormai
sorprese, soprattutto se la consegna del silenzio fa rispondere
i giurati più o meno come i giocatori di calcio: dichiarazioni
di principio e nulla di personale.
Merito del gigante Omar Sy (faceva sembrare piccolo anche
Pierfrancesco Favino) aver portato un po' di brio con una
conclusione a sorpresa: al grido ''è dal primo giorno che lo
voglio fare'' ha obbligato i suoi colleghi a girarsi spalle alla
stampa, sedersi davanti al poster ufficiale del festival e
guardare una palma sospesa nel cielo come i protagonisti di
Rapsodia d'agosto, il film di Akira Kurosawa scelto per ispirare
la magia dell'arte nel festival di quest'anno.
Per il resto la parola d'ordine dell'edizione è stata rispetto:
''è apparso chiaro - come ha detto Favino - che non sempre
avevamo le stesse idee, ma è stato bello ascoltarci fino,
magari, a cambiare idea rispetto alla prima impressione''. La
presidente Greta Gerwig è apparsa come una lady di ferro dai
modi gentili, al punto che, dopo aver confermato che per tutti
loro erano stati ''giorni meravigliosi di scoperta e di
arricchimento reciproco'', ha garbatamente costretto gli altri
ad annuire con la testa come bravi scolaretti.
In sintesi si evince che tutti i premi hanno visto opinioni
diverse, ricondotte a una equilibrata tastiera di premi una
volta sistemati i nodi complessi: l'obbligo morale generato
dall'iraniano Rasoulof (palma speciale), l'innamoramento
collettivo per l'Indiano All we imagine as light (gran premio
della Giuria) e infine una Palma d'oro volutamente spiazzante
(Anora). Il resto è sembrato discendere da questi punti fermi
con complice diplomazia fra tutti. Si torna a casa però con una
buona notizia: il maestro giapponese Koree eda ha confessato che
''dopo questi 11 giorni passati a vedere bellissimi film altrui,
ho deciso di girarne uno nuovo anche io. Ci ritroveremo!''.
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