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Vent'anni senza Manfredi, artista che parlava sottovoce

Vent'anni senza Manfredi, artista che parlava sottovoce

L'attore simbolo della romanità universale morì il 4 giugno 2004

ROMA, 03 giugno 2024, 18:24

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

C'erano una volta i quattro colonnelli della commedia all'italiana, i nostri moschettieri della risata: il mattatore Gassman, lo straripante Sordi, il ruspante Tognazzi e il più discreto Manfredi, cui si aggiungeva spesso, coi modi di un moderno Aramis, Marcello Mastroianni.
    Saturnino, in arte Nino, Manfredi è stato l'ultimo a lasciare la scena, il 4 giugno del 2004, ma vent'anni dopo possiamo misurare quanto il suo stile, la sua professionalità, il suo talento creativo siano stati fondamentali per almeno quattro generazioni di cinema italiano, con modi sempre diversi dal teatro (dove si impose fin dal 1947) al cinema e alla televisione (lasciati nel 2003), passando per il teatro di rivista, la radio, la commedia musicale e la canzone, la regia, la pubblicità.
    La prima parola che viene in mente per definirlo è "versatilità": sapeva fare tutto, Nino Manfredi e forse proprio questa duttilità rende difficile una sua collocazione definitiva. Era caratterista e primo attore, umorista e cantante (a modo suo), uomo del polo e raffinato intellettuale. Per definire questa, più segreta, immagine del suo talento, bastano le regie di "L'avventura di un soldato", folgorante episodio senza parole di "L'amore difficile" del 1962, l'autobiografico "Per grazia ricevuta" del 1971, il crepuscolare "Nudo di donna" del 1981. Una sortita ogni dieci anni, quasi a ricordare a tutti che non era soltanto un buon esecutore, ma un autore con la lettera maiuscola. Non a caso, alla fine della carriera, affidò sempre più spesso la cinepresa al figlio Luca, riservandosi partecipazioni sornione a copioni su cui aveva messo, sempre con discrezione, le mani in prima persona.
    Vincitore di moltissimi premi nazionali e del Premio a Cannes per il miglior esordio con "Per grazia ricevuta", Nino Manfredi resta legato comunque soprattutto a quella romanità universale, cinica in apparenza, appassionata in segreto, che Luigi Magni seppe disegnargli addosso per quasi tutta una carriera che li vide gemelli: autore l'uno e interprete l'altro di una Città Eterna che conserva la memoria del tempo.
   

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