All'inizio del XX secolo si definiva Grand Tour asiatico il viaggio che iniziava in una delle grandi città dell'Impero britannico in India e si estendeva fino alla Cina o al Giappone. Un percorso riletto, reinventato e attualizzato in Grand Tour di Miguel Gomes, premiato per la regia a Cannes, e in gara per il Portogallo all'Oscar per il miglior film internazionale. Sarà nelle sale italiane dal 5 dicembre distribuito da Lucky Red, un'uscita che il cineasta (appena tornato da Los Angeles dov'è in corso la campagna per gli Academy Award) accompagna, incontrando gli spettatori, in città come Roma, Bologna, Torino, Milano, Venezia e Padova. La messa in scena (producono Uma Pedra no Sapato con l'italiana Vivo film, Shellac e Cinéma Defacto) parte da un episodio dagli scritti di viaggio di W. Somerset Maugham. Il signore in salotto (1930).
Lo sguardo di Gomes fonde passato e presente, finzione e realtà, colore e bianco e nero, ricostruzioni in studio e immagini vere delle persone nella vita sociale, nello scorrere delle giornate, riprese, facendo le stesse tappe della storia, dal regista (pandemia permettendo) e la troupe. "Non c'è il racconto dell'attualità che vediamo in televisione, sappiamo che il mondo sta vivendo molte crisi, in vari luoghi, Vediamo cose molto ingiuste e criminali e spesso l'assoluto disinteresse verso l'altro, qualcosa di molto egoista - spiega all'ANSA Gomes -. Ma ci sono anche cose grandiose nel mondo ed io volevo riflettere una di queste, la gioia di essere vivi raccontata da vari Paesi. Allo stesso tempo c'è la gioia di esplorare il mondo parallelo del cinema. Ho voluto unire queste due forme di gioia, che si parlano e si arricchiscono a vicenda". Si parte dalla fuga da Rangoon, nel 1918, alla vigilia delle nozze, di Edward (Goncalo Waddington), funzionario dell'Impero britannico, proprio nel giorno dell'arrivo della fidanzata Molly (Crista Alfaiate). La giovane donna, invece di abbattersi, inizia, piena di entusiasmo, un viaggio alla ricerca del fidanzato per mezza Asia. Un doppio percorso punteggiato anche dal ritorno documentaristico all'oggi, con squarci nei quali prevale l'energia, anche brutale, della vita quotidiana, fra street food, intere famiglie in scooter, giostre, partite di mahjong o tagliatori di bambù.
"Racconto questa coppia, Molly ed Edward, che vive nella finta Asia nel 1918 e al tempo stesso le immagini del loro futuro, che è il nostro presente, attraverso gli elementi che mi toccano di più, con i quali sento un reale legame". Rispetto ai personaggi principali, "vediamo come Edward usi il mondo per nascondersi da Molly. È uno di quegli uomini che sa amare solo a distanza. Persone che non sono positive quando le hai vicine, ma sono grandi amanti da lontano - ironizza Gomes -. Molly invece è molto estroversa, ha una grande personalità, è travolgente, ma la sua determinazione ha due facce, sfocia nell'ossessione e può diventare molto autodistruttiva. Mi piaceva partire dagli stereotipi di un uomo codardo e una donna coraggiosa e testarda e vedere come questi due personaggi mostrino molti più aspetti lungo la strada". Per la terza volta un film di Gomes è stato designato per rappresentare il Portogallo agli Oscar: era già accaduto per le edizioni del 2008 con Aquele Querido Mes de Agosto e del 2015 con Le mille e una notte - Arabian Nights ma non erano entrati nella cinquina finale: "Le prime due volte non avevano fatto niente per la promozione negli Stati Uniti e a quanto pare se non ti applichi non hai possibilità - dice sorridendo Gomes -. È un mondo molto codificato, stavolta mi sto impegnando di più ed abbiamo Mubi, che distribuisce il film negli Usa, a sostenerci. So che Grand Tour non ha esattamente il profilo di un candidato da Oscar per i canoni di Hollywood, lì hanno una visione molto più conservatrice di narrazione, ma starò al gioco.... e chissà forse un giorno farò un film sulla campagna per gli Oscar".
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