(ANSA) - ROMA, 25 GEN - MARCELLO KALOWSKI, 'IL SILENZIO DI ABRAM. MIO PADRE DOPO AUSCHWITZ' (LATERZA; PP.154; 16 EURO)
Raccontare la propria Shoah non è facile, a volte a prevalere è il silenzio. E così quell'immensa sofferenza, individuale e collettiva, ristagna nell'anima fino a soffocare a volte chi è sopravvissuto. Kalowski ha saputo raccontare con grande bellezza la storia di suo padre Abram, ebreo polacco uscito vivo da Auschwitz, fermatosi dopo la guerra in Italia dove ha messo su famiglia. Un omaggio ad un uomo buono che ha fatto di tutto per riprendersi la vita, finché Auschwitz non ha ripreso lui sotto le sembianze della depressione, male che devasta l'anima.
"Queste pagine - scrive l'autore - vogliono essere un omaggio a mio padre e a chi, come lui, i più, ha testimoniato con il silenzio l'impossibilità di sgretolare il muro apparso ad un certo punto della sua vita, separandola definitivamente dalla successiva esistenza". Quel 'silenzio' e quel 'muro' sono i due punti attorno ai quali ruota una vicenda umana complessa: ma non solo quella di Abram, bensì anche quella del figlio. Perché la Shoah paterna si rifrange sull'autore del libro (e sul resto della sua famiglia) attraverso un rapporto basato sovente sul non detto, sul lasciato intendere, sull'accennato. Eppure, nonostante ciò, con una forza travolgente. Nella costruzione di vita dell'autore (e di suo fratello) quel 'silenzio' diventa lo stesso una potente trama di comunicazione. Giorno dopo giorno - attraverso gli amici altrettanto silenziosi del padre, la rievocazione di un passato felice, le vicissitudini delle loro famiglie distrutte, i dolori e le lacrime che spuntano all'improvviso - filtrano la vicenda e il ritratto di un uomo ferito che tenta però con tutte le sue forze di riacciuffarsi la vita sottrattagli.
"Sono io - scrive Kalowski, il cui libro sarà presentato alle 18 martedì prossimo per il Giorno della Memoria alla Libreria Feltrinelli della Galleria Colonna a Roma - che debbo costruire quel ponte sospeso, che debbo assumermi l'onere di dare voce al suo silenzio, perché la sua esistenza, subita e vissuta con coraggio, e le contraddizioni, le incertezze, le angosce, le debolezze che ne hanno contrassegnato lo scorrere, acquistino il senso e la dignità che meritano". In questo comporsi di reciproci specchi - sia il prima sia il dopo - la storia di Abram Kalowski - ora svelata - diventa così la Shoah raccontata dalla seconda generazione: un testimone che si passa, così come la Memoria vuole e che mette a riparo dall'oblio o da chi vuole negare l'innegabile.
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