Giacomo Oreglia, titolare
dell'Italica di Stoccolma, che pubblicava autori italiani,
pattuiva con essi che, in caso di vincita del Nobel, avrebbero
dovuto riconoscergli un contributo. Quasimodo tenne fede alla
parola e gli diede 20 milioni; Montale, invece, che ne aveva
promesso 50, si limitò a chiedergli se in Svezia il Premio
venisse tassato dallo Stato. Lo scrive oggi sul quotidiano
"Libertà" di Piacenza, Sebastiano Grasso in un articolo
dedicato all'anniversario della morte di Mario Luzi, più volte
nella rosa dei Nobel. Secondo Grasso a Luzi rimase il rimpianto
del mancato Nobel e la colpa, a suo avviso, per molti, era
stata proprio di Oreglia. ''Piemontese di Mondovì, nel 1949
Oreglia si trasferisce a Stoccolma, dove fonda l'Italica, casa
editrice che traduce autori italiani. Fra essi, Quasimodo e
Montale (entrambi vincitori del Nobel di letteratura: una delle
condizioni per
potere avere il Premio è quella di essere tradotti in svedese).
Oreglia, che pubblica diversi libri di Luzi e insegna
all'Istituto italiano di Cultura, quando la Farnesina decide di
sistemare giuridicamente il personale precario estero e a
Stoccolma arriva come ambasciatore Sergio Romano, deve
scegliere se fare il docente o l'editore. Qualcuno suggerisce
una soluzione "tecnica": intestare l'«Italica» alla figlia.
Oreglia non solo rifiuta, ma attacca l'ambasciatore Romano su
giornali svedesi - racconta ancora Grasso - e
italiani, facendo la vittima (ruolo che non gli si addice
proprio), urlando che, senza l'Italica, Quasimodo e Montale non
avrebbero avuto il Nobel. Nell'operazione coinvolge la natura
generosa di Luzi, che sposa le sue ragioni e interviene a suo
favore. Le polemiche, però, non piacciono agli Accademici, che
accantonano definitivamente il nome del poeta toscano''.
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