(di Marzia Apice)
"Negli ultimi decenni il linguaggio è
diventato centrale nel dibattito, soprattutto dopo la pandemia.
Nei mesi del lockdown tutti, infatti, hanno traslocato sulla
Rete e lì non c'è il corpo ad aiutare la parola, che quindi deve
farcela da sola": parla in un'intervista all'ANSA di "una
situazione comunicativa attuale senza precedenti" Vera Gheno,
sociolinguista specializzata in comunicazione digitale, che il
15 dicembre sarà tra gli 11 relatori di "Display", evento online
marketing-centrico, ideato da Michele Franzese dell'agenzia Scai
Comunicazione. La sociolinguista si soffermerà sul potere delle
parole - dal convincimento alla performance fino alla
generazione di senso - in un'iniziativa che, tra speech,
interviste e intermezzi, con scenografia d'autore, luci ed
effetti televisivi, andrà in onda in prima serata su
displaylive.it proprio come una trasmissione tv.
"Non sono esperta di marketing, ma le considerazioni
linguistiche possono essere fatte in ogni contesto. E il
marketing in fondo si basa sulla scelta delle parole", dice,
spiegando di esser partita per il suo intervento da se stessa
"come consumatrice di prodotti, analizzando le mie reazioni di
fronte ad alcune pubblicità. Spesso ho la sensazione di
insincerità, di qualcosa che stride: questo accade quando non si
vuole comunicare davvero qualcosa, ma solo vendere il prodotto,
fare cioè una marchetta". Ma le persone si rendono conto quando
ciò si verifica? "La non sincerità spesso è determinata dai
cliché pubblicitari o dall'abuso dell'instant marketing, ma
diventa visibile a un certo punto, perché non si può prendere in
giro troppo a lungo le persone", dice. Quella dell'uso del
linguaggio è comunque, secondo Vera Gheno, "una questione
trasversale, perché ognuno di noi porta con sé le proprie parole
negli ambienti in cui vive, da quelli personali a quelli
professionali. Di certo però ci sono contesti più visibili: ce
lo ha dimostrato la pandemia, durante la quale spesso un uso non
preciso delle parole ha generato confusione, con molti esperti
che non sono preparati nella divulgazione delle proprie
competenze", precisa. Fuori dall'ambito pubblicitario, quanto
siamo consapevoli della potenza del linguaggio? "Non molto, e
nemmeno della sua pericolosità: ce ne accorgiamo solo quando
qualcosa va storto per via dell'uso di determinate parole. Il
punto è che a nessuno fa piacere sapere che quello che ha
studiato a scuola non basta. La lingua infatti va studiata per
tutta la vita e non si sanno mai troppe parole", spiega, "e se
la realtà cambia di continuo, e molto velocemente, la stessa
cosa fa anche il linguaggio". Quando il linguaggio si lega alle
questioni di genere, per alcuni l'uso dei termini al femminile è
una sottigliezza inutile, o un modo per cercare la polemica. "In
molti credono che quella del linguaggio sia una battaglia, ma
non lo è, perché non ci sono nemici. Le questioni di genere
hanno la tradizione come dato mentale con cui interfacciarsi, ma
non si tratta di un nemico. Sull'uso dei termini femminili non è
mai stata fatta tanta divulgazione, se ne discuteva tra
studiosi: il grande pubblico ci è arrivato ora ed è normale che
ci sia perplessità. Io faccio molta attività divulgativa per far
sorgere almeno un dubbio in merito all'uso che facciamo del
linguaggio. Di certo noi donne dobbiamo prima cambiare la nostra
forma mentale".
Come si può intervenire perché ci sia una maggiore
consapevolezza? "L'ideale è partire dalla scuola, inserendo la
complessità da subito. Secondo Tullio De Mauro, il mio maestro,
la sociolinguistica dovrebbe essere introdotta nelle scuole -
conclude - tuttavia queste ultime hanno un limite: i docenti
infatti si sono formati anni fa e c'è uno sfasamento tra quello
che si insegna e la realtà".
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