(di Paolo Petroni)
Dopo la morte nel 1971, cinquant'anni
fa che ricorrono domani 4 settembre, di Niccolò Gallo, finissimo
studioso della letteratura e poi consulente editoriale e editor
per la Mondadori, la critica notò che alcuni autori avevano una
scrittura un po' diversa, meno precisa e risolta, proprio perché
le sue notazioni puntigliose e attentissime sui manoscritti, i
suoi consigli di scrittura e costruzione erano venuti meno.
Basterebbe questa curiosità per capire l'importanza di questa
figura sconosciuta oggi ai più perché operò sempre nell'ombra,
incarnazione della discrezione e dell'educazione, in stretta
collaborazione fiduciaria con gli autori, ma ci sono anche i
suoi pochi saggi pubblicati e poi la vita che si svolgeva nel
salotto di casa sua a Roma, dove è passata tutta la letteratura
del secondo Novecento, dove si sono formati, tra discussioni,
suggerimenti, incontri, critici raffinati come Cesare Garboli o
Pietro Citati e tanti scrittori, se sempre dopo la sua scomparsa
per un pezzo molti dei nuovi libri che uscivano portavano una
dedica in suo ricordo.
Proprio Garboli, che gli dedicò alcune pagine intitolate
'L'ultimo lettore' nel libro 'Falbalas', ha scritto che
''tendeva voracemente ad annullare la distanza tra sé e l'
autore, nella consapevolezza indifferente e orgogliosa che
l'unione mistica col testo non si sarebbe realizzata mai''. E
ancora, che Gallo preferiva gli autori vivi, i suoi
contemporanei, e con loro realizzava un abbraccio fraterno,
''mezzo vampiresco e mezzo sacrificale'', con un talento che
faceva leva sulla capacità di ''mimetizzarsi e di scomparire''.
Niccolò Gallo si formò attraverso anni di sacrifici, di
studi, di lotta antifascista, di resistenza, di lavoro
quotidiano svolto con umiltà, sotto la guida dei suoi due
maestri ideali, Michele Barbi e Emilio Cecchi, facendosi le ossa
e diventando alla fine quel lettore rabdomante e professionale
che fu, in grado di mettere al servizio degli altri il suo
talento, la sua sensibilità alla scrittura e il suono della
lingua da ''siciliano sciacquato nella Senna e nell'Arno''. Col
poeta e amico Vittorio Sereni diresse anche quella collana di
scoperte e novità che fu 'Il tornasole' della Mondadori.
L'elenco dei suoi meriti, delle sue scoperte e suggerimenti,
vanno da Soldati a Consolo o Tomizza, da Zanzotto e Pagliarani
per far anche due nomi di poeti, sino al suo impegno per
spronare al lavoro e poi strappare dalle mani di Stefano
D'Arrigo, che non vedeva mai concluso il proprio lavoro,
''Horcynus Orca'', solo per fare degli esempi. Questo senza
dimenticare che fu un rigoroso studioso di Dante, impeccabile
curatore, insieme a Garboli, delle opere di De Sanctis e di
Leopardi e, con Giansiro Ferrata, di Gramsci; traduttore di
Rivière e di Thibaudet. Più volte definito 'critico militante',
ha sempre ritenuto lo studio della letteratura italiana, di cui
era al servizio, un punto di vista privilegiato per esplorare
l'animo umano, i valori della vita, scandagliandone tutte le
trasformazioni.
Tomizza in ''Dove tornare'' ricorda come Gallo avesse
''un'antica cura del particolare che si manteneva costante nella
scelta della carta e dell'inchiostro come nella scrittura
precisa, finissima, da moderno amanuense di lusso, che tanto
umiliava il mio goffo aggettivo da togliere, l'esclamativo da
sopprimere, il verbo inesatto da sostituire. In netta perdita,
sulle prime scattavo in difesa della mia espressione raramente
mediata, ma poi ammettevo che l'indicazione era esatta e mi
veniva proposta con discrezione persino dubbiosa ed estremo
rispetto''. Mentre Sereni scrisse per lui una poesia: ''Quattro
settembre, muore / oggi un mio caro e con lui cortesia / una
volta di più e questa forse per sempre./ Ero con altri un'ultima
volta in mare / stupefatto che su tanti spettri chiari non
posasse / a pieno cielo una nuvola immensa''.
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