(di Francesco Gallo)
ALBERTO CRESPI - SHORT CUTS, IL
CINEMA IN 12 STORIE (EDITORI LATERZA, pp.416 - 24,00 euro).
Un critico cinematografico che racconta i fatti, la cronaca, è
un po' come un pittore che parla della sua tavolozza. È quello
che fa Alberto Crespi in Short cuts. il cinema in 12 storie. Ma
nessuna vera redutio in questa 'scorciatoia'. Anzi. Se il cinema
è luogo dell'immaginazione per eccellenza, il dietro le quinte
da cui nasce, e che Crespi racconta, spesso lo supera cento
volte.
"Tra il 1959 e il 1960 - dice il critico conduttore di Hollywood
Party su Radio 3 nella sua prefazione - il cinema è nel mezzo
del suo cammino. Per uno strano scherzo del destino, in quei 24
mesi viene girata ed esce nelle sale una incredibile serie di
film destinati a segnare per sempre la storia della settima
arte: da UN DOLLARO D'ONORE di Hawks, trionfo del cinema
americano, a FINO ALL'ULTIMO RESPIRO di Godard, che segna la
nascita della Nouvelle Vague; da LA DOLCE VITA di Fellini a LA
GRANDE GUERRA di Monicelli; da PSYCO di Hitchcock a I MAGNIFICI
SETTE; da L'APPARTAMENTO di Billy Wilder a LA BELLA ADDORMENTATA
NEL BOSCO della Disney. Questi film sono poi l'occasione per
partire per altri viaggi, lungo percorsi che vanno all'indietro
fino ai Lumière, e anche prima, e in avanti fino all'oggi, ai
tempi delle piattaforme, della serialità, di un modo inedito e
rivoluzionario di farsi raccontare storie attraverso le
immagini. Non pensate però a un saggio di critica
cinematografica bensì a un vorticoso e appassionante racconto di
'dietro le quinte' di grandi film, di incontri personali, di
ritratti dei personaggi che hanno immaginato e realizzato queste
pellicole con la loro genialità, le loro debolezze, i loro sogni
e le loro follie" .
Curiosità in questa storia del cinema? "Una su tutte. La
commedia all'italiana è stata fatta da grandi intellettuali come
Risi, Monicelli e Scola mentre il neorealismo da personaggi più
semplici tra virgolette. Roberto Rossellini era un uomo a cui
interessavano solo le belle donne e le auto da corsa, Vittorio
De Sica veniva dalle tavole dei palcoscenici popolari e umili.
Certo, in controtendenza, c'era anche Luchino Visconti che era
un nobile, un motivo in più per far capire come il cinema
italiano abbia avuto una complessità e una ricchezza notevoli.
C'è una tipicità, un carattere proprio al cinema italiano?
"Sì. Quello di essere incredibilmente legato a raccontare, quasi
in presa diretta, la storia, la cronaca e il costume del nostro
paese. Uno potrebbe dire che questo è vero anche per altri
cinema, ma non in maniera così profonda. Nel cinema americano,
ad esempio, c'è il western come elemento portante, ma questo
genere è una ricostruzione leggendaria che porta avanti una
misura artefatta. In Italia invece emerge la nostra storia in
maniera molto forte e sincera".
Incontri importanti? "Ho un bellissimo rapporto con Marco
Bellocchio a cui voglio un bene dell'anima. Mi ha sempre
colpito il fatto che uno come lui, nato iconoclasta e poi
permeato dalla psicanalisi di Fagioli, sia alla fine diventato
una sorta di saggio zen. La stessa saggezza e tenerezza che mi
suscitava Ermanno Olmi".
E Fellini? "Ho avuto con lui una sorta di imprinting. Avevo
solo ventidue anni quando gli sono stato presentato dall'allora
nostro critico dell'Unità, Ugo Casiraghi. Io gli diedi del Lei e
lui mi disse subito: "Dammi del tu e soprattutto non chiamarmi
maestro".
Futuro del cinema? "Va detto che il cinema fino agli anni
Settanta era sicuramente l'arte più importante in assoluto, oggi
temo non sia più cosi. Ora lo vedi dappertutto, c'è un'immensa
proliferazione di immagini, tantissimo cinema, ma allo stesso
tempo una perdita della sua centralità. Si è come persa la
bussola".
Prossimo lavoro? "Sto pensando a un libro su John Ford -
conclude Crespi direttore della rivista Bianco & nero -. Anche
questa volta non un lavoro critico, ma solo la mia lunga storia
d'amore con questo regista".
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