(di Mauretta Capuano)
"So benissimo che se sono qui è per
la grande solidarietà del popolo italiano e per il sostegno
internazionale. A questo devo la vita. I politici e i governi
non sono proattivi, agiscono se è la cittadinanza dal basso che
fa pressioni. Sì, è vero, si è parlato alla Camera e al Senato
del mio caso, ma perché c'era una pressione dal basso". Lo ha
detto Patrick Zaki in un evento all'Auditorium della Nuvola
dell'Eur a Roma che chiude il sabato di Più Libri più Liberi.
"Il carcere è una ferita che non passa mai", "chiunque abbia
avuto la mia sorte e lavora nella difesa dei diritti umani ha il
timore o di essere detenuto di nuovo o di tornare in quella
piccola cella. È inesorabile che ti poni un sacco di domande.
Non sono lo stesso uomo che è entrato la dentro,
quell'esperienza ha cambiato il mio modo di pensare" ha
raccontato Zaki in dialogo con Pegah Moshir Pour e Marianna
Aprile in occasione dell'uscita del suo libro 'Sogni e illusioni
di libertà. La mia storia' (La nave di Teseo). "Ogni giorno c'è
qualcosa di piccolo, banale, ovvio che ti fa sentire la paura di
ritornare in galera. Ora non riesco a stare in un luogo dove non
vedo una finestra. Un odore, qualche cosa che sento può
ricondurmi a quello, alla piccola cella al Cairo. Il carcere è
una ferita. So che il mio non è un riprendere da dove ero
partito, ma un riadattarsi".
Zaki ha anche raccontato di essere sempre rimasto in contatto
con i compagni di prigionia, con i loro familiari. "Cerco di
seguire le notizie di scarcerazioni. In questo momento non è
facile perché tutti i fari sono puntati su quello che succede
nelle guerre e il numero delle scarcerazioni diminuisce. Io ne
faccio un compito quotidiano di scrivere lettere ai miei
compagni di prigione. Io che ci sono stato dietro le sbarre so
che la peggiore sensazione è quella di essere dimenticati. È
questa la paura. Mia madre in questo mi ha molto aiutato, perché
mi ha sempre informato di quello che accadeva e questo mi ha
dato la forza di resistere. Sotto questo profilo sono stato
fortunato. Per questo mi consumo a scrivere e parlare dei
prigionieri di coscienza nel mio Paese" spiega.
Superato anche il senso di colpa verso la sua famiglia alto
borghese che non aveva tradizioni di impegno politico. "La mia
famiglia non era particolarmente politicizzata. Il timore che si
cominciasse a esercitare pressioni su di loro era grande. Se non
avessi avuto la forza che ho avuto grazie al popolo italiano
potrei raccontare una storia diversa, il familiare licenziato o
altro. Credo di essere riuscito a fare progressi sul piano
personale, ma mi chiedo ancora se potrà succedere qualcosa alle
persone che mi stanno intorno. E pensate cosa vuol dire essere
madre di un detenuto" dice. E aggiunge: "Il mio sistema di
supporto sono le donne. La mia rete quando erano in galera sono
state mia madre, mia sorella, la mia fidanzata che ora è mia
moglie. In Italia la pietra angolare della mia scarcerazione è
stata Rita Monticelli, è lei che mi ha mantenuto viva
l'attenzione".
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