Giorgia Meloni dicendo l'ovvio su Matteotti ha detto parole definitive sulla professione di antifascismo di questa destra al governo e ora è il momento di guardare avanti, di superare le contrapposizioni ideologiche di cui gli "antipatizzanti" stanno lastricando le strade, per avviare una dialettica tra destra e sinistra basata sul riconoscimento di valori comuni. Alessandro Giuli, il giornalista e scrittore che ha da poco pubblicato il provocatorio pamphlet "Gramsci è vivo", in cui affronta, tra l'altro, la questione dell'egemonia culturale posta dalla destra di governo, commenta con l'ANSA le parole della premier su Matteotti.
Le parole di oggi di Meloni su Matteotti sono le tanto attese parole di professione di antifascismo che vengono chieste a Fratelli di Italia? "Non c'era già alcun dubbio sul fatto che la destra di governo si fosse dimostrata nei fatti antifascista e quindi rispettosa della cornice costituzionale in cui vive. Ora mi sembra che in questa circostanza le parole di Giorgia Meloni definiscano alla perfezione ciò che era già nell'ordine delle cose".
E cosa è cambiato allora? "Sfamano il fabbisogno di chi voleva sentirselo dire. E costruiscono un quadro di normale dialettica democratica".
Quindi non c'è mai stata nessuna ritrosia a dirsi antifascisti? "La supposta ritrosia è qualcosa che è stata individuata solo dagli 'antipatizzanti', nonostante in tante occasioni e altre ricorrenze Meloni ed altri abbiano già denunciato le violenze del nazifascismo. Ma il riconoscimento pubblico di questo stato di fatto non si esplica in un telegramma: esiste un giudizio politico che è sempre stato chiaro". Lei ha scritto un pamphlet che si intitola 'Gramsci è vivo'.
E' vivo anche Matteotti? "Matteotti è anche più attuale di Gramsci. Oggi è nel riformismo gradualista di Matteotti e nel rispetto delle libertà costituzionali che bisogna trovare un modello. Non a caso Gramsci considerava Matteotti un nemico di classe del comunismo. E lo aveva bollato come il 'pellegrino del nulla'".
Nel suo libro lei invita a trovare un terreno comune di confronto dialettico tra destra e sinistra, un terreno di comuni valori per superare le divisioni ideologiche tra vecchia destra e vecchia sinistra. "Io parto da Gramsci e dalla centralità che Gramsci ha attribuito alla cultura nel confronto, e anche del conflitto politico, sapendo però che le categorie gramsciane sono superate. Muovo da questa concezione della libertà, conculcata dal totalitarismo, e dalla sottolineatura dell'importanza del rapporto tra cultura e politica, per incoraggiare una destra consapevole a farsi carico di un racconto unitario e non divisivo delle identità plurali di cui si compone la nostra radicata e stratificata cultura".
Matteotti rappresenta questo racconto unitario? "Sì. Ma, se posso, vorrei andare oltre e ricordare perfino Walter Tobagi di cui soltanto due giorni fa è ricorso il quarantaquattresimo anniversario della morte acerba".
In che senso? Tobagi è stato ucciso da terroristi… "Stiamo ovviamente parlando di contesti storici completamente diversi ed è evidente che Matteotti è stato ucciso dagli squadristi di un regime. Ma Tobagi è stato un giornalista e intellettuale che ha rappresentato una cultura socialista e riformista in un altro periodo storico con tinte tenebrose, finendo assassinato da alcuni terroristi comunisti. Pur essendo totalmente differente il contesto, Tobagi ha pagato con la vita l'adesione a una prospettiva liberaldemocratica della società. E come Matteotti, Tobagi venne considerato un "nemico" di classe dai massimalisti dell'eversione. Il riformismo è spesso la prima vittima quando il sopruso della violenza prevale sulla forza della ragione".
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