(di Claudio Scarinzi)
L'atroce morte per mano del
nazifascismo della terzogenita del grande leader socialista,
Pietro Nenni, per motivi che rimangono ignoti non è né molto
nota, né celebrata se non in alcuni brevi periodi e
sostanzialmente dal Psi come monito contro l'orrore e la
violenza delle dittature. Rientra in quelle 'piccole storie' che
hanno travolto in anni bui milioni di persone lasciando ferite
profonde eppure un senso di invincibilità dei valori della
libertà e della giustizia anche sociale. In due parole di quei
valori socialisti che il tempo e la repressione non sono mai
riusciti a scalfire. Ne parla, con accuratezza e umanità,
Antonio Tedesco in 'Vittoria Nenni N.31635 di Auschwitz'.
Il libro, pubblicato da Arcadia Edizioni (16 euro, pp 221) e
con la prefazione di Benedetto Attili, fa capire già dal titolo
la fine di Vivà come era affettuosamente chiamata fin da piccola
una donna che è morta con fierezza - come il marito - per i suoi
ideali.
La famiglia di Nenni fu costretta alla fuga oltralpe
dall'Italia fascista e prese parte attivamente alla Resistenza
francese. Per Vittoria questo volle dire la prigionia nel
carcere di Romainville e poi la fatale deportazione nel
famigerato campo di concentramento di Auschwitz Birkenau insieme
ad altre 230 donne di cui solo 49 tornarono. Non cercò di
salvarsi, aiutò le compagne di lotta fino alla fine. Poteva
scampare alla morte rivendicando la nazionalità italiana, poteva
evitare la deportazione. Poteva forse sopravvivere durante la
detenzione, ma volle cancellare i peculiari connotati nazionali
per diventare coscienza - si legge nel libro - di lotta europea
contro il nazifascismo.
Se emergono toccanti particolari degli ultimi giorni di vita
di un'eroina dimenticata, non meno dura fu la vita di Pietro
Nenni e della famiglia durante l'esilio. Una povertà fino al
limite della sopravvivenza che mai però il segretario socialista
fece emergere dopo la Liberazione. Così come nascose la
disperazione per la morte della figlia che lo accompagnò fino
alla morte. A salvarlo la fede in un mondo giusto e migliore cui
lui e il Socialismo avevano contributo.
La 'piccola storia' di Vivà rimase solo nell'orbita del
partito con alcune amministrazioni comunali che le dedicarono
asili, strade e quartieri. Furono le donne socialiste e
l'associazione Amici dell'Avanti a ricordarla. Ma la sua tragica
vicenda non ha 'sfondato' mediaticamente. Forse ora è giunto il
momento di renderle il tributo che merita.
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