La poesia e Louise Gluck sono sempre state una cosa sola. Era bambina quando si inventò un concorso per premiare la più bella poesia del mondo. Come una folgorazione i poeti, con al primo posto Emily Dickinson e William Blake, e il fare e recitare versi hanno accompagnato la vita della Nobel per la Letteratura 2020 della quale è attesa nella primavera 2021 l'uscita in Italia di 'Ararat' (Il Saggiatore).
A raccontarlo è la stessa Gluck, 77 anni, nel suo discorso per il Nobel, pubblicato sul sito del premio. A causa della pandemia, la consueta cerimonia di consegna delle medaglie da parte del re Carlo XVI Gustavo, il 10 dicembre a Stoccolma, giorno della nascita di Alfred Nobel, sarà online. In Italia, nel giorno della cerimonia, sarà dedicato alla Gluck un evento speciale online 'Le migrazioni notturne' condotto da Matteo Caccia, in diretta dal Circolo dei lettori di Torino, con collegamenti e contributi video di Massimo Bacigalupo, Daria Bignardi e Laura Morante e un saluto di Elena Loewenthal, direttore della Fondazione Circolo dei lettori. Organizzata dal Circolo dei Lettori e da Il Saggiatore, che ha acquisito tutte le opere della poetessa americana finora introvabili e poco tradotte in Italia, la serata sarà su Facebook, YouTube e circololettori.it "Quando ero una bambina, credo di cinque o sei anni, mi ero inventata un concorso nella mia testa per premiare la più bella poesia del mondo. C'erano due finalisti: 'The Little Black Boy' di Blake e 'Swanee River' di Stephen Foster. Andavo avanti e indietro nella seconda camera da letto della casa di mia nonna a Cedarhurst, un villaggio sulla sponda meridionale di Long Island, recitando mentalmente come preferivo, l'indimenticabile poesia di Blake, e cantando, anche nella mia testa l'inquietante e desolata canzone di Foster. Come sono arrivata a leggere Blake è un mistero. Penso che a casa dei miei genitori ci fossero alcune antologie di poesie tra i libri di politica e storia e tra i tanti romanzi. Ma associo Blake alla casa di mia nonna" dice la Gluck nelle prime righe del testo che si può trovare su NobelPrize.org. Alla fine a vincere è Blake e l'attrazione "allora come oggi, della voce umana solitaria" che è quella prediletta dalla Gluck nei suoi versi.
"Ho letto Emily Dickinson con grande passione quando ero adolescente. Di solito a tarda notte, prima di andare a letto, sul divano del soggiorno. 'Io non sono nessuno! Tu chi sei? Non sei nessuno anche tu? Allora siamo in due - non dirlo! Potrebbero pubblicizzarlo, sai ...' Dickinson mi aveva scelto, o mi aveva riconosciuto, mentre ero seduta sul divano. Eravamo un'élite, compagne nell'invisibilità, lo sapevamo solo noi. Nel mondo non eravamo nessuno" racconta la poetessa americana, sedicesima donna a vincere il Nobel che ha scelto e persegue questa via lontana dai riflettori, anche nel giorno della cerimonia dei Nobel. L'8 ottobre, all'annuncio del Nobel "è stata una sorpresa per me provare il tipo di panico che ho descritto. La luce era troppo intensa. La scala troppo vasta" spiega la Gluck premiata per ''la sua inconfondibile voce poetica che con austera bellezza rende universale l'esistenza individuale".
Grazie a Il Saggiatore, per cui sono uscite il 3 dicembre 'L'iris selvatico', con cui la Gluck vinse il Premio Pulitzer nel 2003, e 'Averno', tutto giocato sul rapporto madre-figlia, basato sul mito di Demetra e Persefone, entrambi nella traduzione dell'anglista Massimo Bacigalupo, anche il lettore italiano può conoscere i suoi versi. E mentre la poetessa, insignita nel 2003 del titolo di Poeta Laureato, che vive a Cambridge, nel Massachusetts, è al lavoro a una nuova raccolta che dovrebbe uscire nel 2021, in Italia uscirà tra marzo e aprile 2021 'Ararat' del 1990, nella traduzione della poetessa Bianca Tarozzi che aveva già tradotto alcune poesie della Gluck apparse sulla rivista 'In forma di parole'.
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