PALERMO - Nel 1938, quando entrarono in vigore le leggi razziali, in Sicilia vivevano poco più di duecento ebrei sia italiani che stranieri. Non era una presenza significativa, almeno dal punto di vista statistico. Eppure quelle persone subirono la stessa spietata persecuzione: privati dei diritti fondamentali, tra cui lo studio e il lavoro, cacciati dall'insegnamento, arrestati. Alcuni finirono nei campi di sterminio, altri morirono. In fondo queste storie si somigliano tutte. Anche la tragedia degli ebrei siciliani si ricompone attorno al solito copione che Alessandro Hoffmann ricostruisce nel suo libro "Gli amici di Moïse. Cento e più storie di ebrei di Sicilia" (Kalos editore, 320 pagine, 18 euro). Il libro è frutto di una lunga ricerca e di racconti privati che toccano la stessa famiglia di Hoffmann, di origini tedesche, insediata in Sicilia all'inizio del Novecento.
La figura di Moïse è rappresentativa della schiera di ebrei e "quasi ebrei" che furono perseguitati per l'unica colpa di essere di una "razza" da odiare. Moïse Schächter viveva da poco in Sicilia. Di origine rumena, si era laureato in medicina e aveva sposato con una ragazza di Lascari dalla quale aveva avuto quattro figli. Fu arrestato a Palermo e per tre anni internato in un campo italiano.
La sua vicenda riassume il dramma di intere famiglie ma anche di illustri studiosi e scienziati come Emilio Segré (uno dei padri della bomba atomica) che da un giorno all'altro furono destituiti, allontanati dal loro ambiente, cancellati dagli ordini professionali. Alcuni uscirono di scena ma tanti cervelli in fuga trovarono rifugio e successo negli Stati Uniti.
L'Università di Palermo cacciò cinque professori e scelse come rettore Giuseppe Maggiore, uno dei teorici della "Difesa della razza". Sosteneva che gli ebrei potevano essere riconosciuti "a naso, dall'odor judaicus caratteristico della sudorazione di quel popolo".
L'antologia di vite che Hoffmann propone comprende anche le storie di esponenti dell'elite economica finita sotto tiro di cui faceva parte Guido Jung, che pure era stato un fervente nazionalista e perfino ministro durante il fascismo.
Il libro dedica spazio anche ai "Giusti", persone che lavoravano sotto traccia e rischiavano la vita come Calogero Marrone di Favara morto a Dachau dove era stato internato perché da funzionario dell'ufficio anagrafe di Varese aveva aiutato alcuni ebrei a fuggire. E tra i "Giusti" si ritrova anche Giulia Florio, esponente di una famosa dinastia imprenditoriale, che a Roma aiutò quattro famiglie ebree a sfuggire al rastrellamento del 16 ottobre 1943 nel ghetto. La storia riserva un posto importante a un altro "Giusto" siciliano, il magistrato Giuseppe Pagano. Sollevato dal fascismo e tornato in servizio, fu lui come presidente della Cassazione a convalidare i risultati del referendum del 1946 quando l'Italia si lasciò alle spalle il razzismo per diventare una democrazia.
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