(di Micol Graziano)
"Il modo in cui chiami le cose è il
modo in cui finisci per viverle": così Michela Murgia, coraggio,
tenacia, fierezza, concentrato del suo essere donna e
scrittrice. Vita e letteratura legate a doppio filo. Lo è stato
fin dal principio, nel libro che l'ha lanciata tra le stelle e
poi tra le autrici di punta della Einaudi: Il mondo deve sapere,
diario tragicomico, doloroso ed esilarante, la storia di quando,
precaria, vendeva aspirapolveri al telefono. Cronaca potente che
avrebbe ispirato l'omonima opera teatrale, firmata David Emmer e
Teresa Saponangelo, e soprattutto uno dei film più noti di Paolo
Virzì, Tutta la vita davanti. La consacrazione definitiva
sarebbe tre anni dopo, nel 2009, con Accabadora, premio
Campiello e SuperMondello.
Accabadora - in sardo colei che finisce, nel romanzo
un'anziana donna che in un villaggio sardo dà di nascosto la
morte ai malati gravissimi che gliela chiedono - è uno spaccato
di una Sardegna viscerale e al contempo lettera d'amore al mondo
da lei auspicato: di persone libere, di famiglie allargate, di
legami fluidi e non di sangue, di figli e sorelle e fratelli che
si scelgono, un universo di persone impegnate a disegnare il
destino, a scegliere se vivere o morire. Accabadora è un
classico contemporaneo, per la potenza della materia
(l'eutanasia) e dello stile, declinato in una prosa scevra da
compromessi: "Perché invece Tzia Bonaria Urrai si fosse presa in
casa la figlia di un'altra a quell'età, davvero non lo capiva
nessuno. I silenzi si allungavano come ombre quando la vecchia e
la bambina passavano per le vie insieme, suscitando code di
discorsi a mezza voce sugli scanni del vicinato. Bainzu il
tabaccaio si beava di scoprire come anche un ricco,
invecchiando, avesse bisogno di due mani per farsi pulire il
culo".
Scrittrice d'impegno civile, in prima linea per i diritti,
Murgia lascia saggi folgoranti: L'ho uccisa perché l'amavo
(falso!) con Loredana Lipperini (Laterza), un'indagine sul
femminicidio; Ave Mary. E la chiesa inventò la donna,
riflessione su come la Chiesa abbia contribuito a dare
un'immagine negativa della donna, additata come peccatrice e
subalterna; Istruzioni per diventare fascisti (Einaudi), lucida
analisi che invita a respingere i relitti del passato.
In Stai zitta grida rabbia e dolore per tutte le donne che
vengono messe a tacere perché, ripete, la parola è arma di
potere: "Di tutte le cose che le donne possono fare nel mondo,
parlare è ancora considerata la più sovversiva"; un'opera che
racchiude una speranza per l'avvenire: che nessuno obblighi una
donna a tenere la bocca chiusa.
Altrettanto tagliente God Save the Queer, catechismo
femminista (ancora Einaudi): "Vorrei capire, da femminista, se
la fede cristiana sia davvero in contraddizione con il nostro
desiderio di un mondo inclusivo e non patriarcale, o se invece
non si possa mostrare addirittura un'alleata. Da cristiana
confido nel fatto che anche la fede abbia bisogno della
prospettiva femminista e queer, perché la rivelazione non sarà
compiuta fino a quando a ogni singola persona non sarà offerta
la possibilità di sentirsi addosso lo sguardo generativo di Dio
mentre dichiara che quello che vede è cosa buona", scrive.
L'ultimo libro, uscito a maggio, è lo struggente Tre ciotole
(Mondadori). Nelle prime pagine la malattia: "Era una richiesta
strana quella di battezzare un tumore. Le risuonarono in testa
tutte le parole che conosceva già. Brutto male. Male incurabile.
Il maledetto. Il bastardo. Quella cosa". Tre Ciotole,
testimonianza e invito a non cercare risposte ad ogni costo:
"Non capire va bene - affermava Murgia -, non capire è a volte
la soluzione migliore per stare nelle cose".
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