Se il successo nella sua caducità può almeno in parte risarcire le difficoltà e i disagi di una vita dolorosa, allora quello che ha avuto Pino Roveredo è un successo "giusto". E come in tanti altri casi di scrittori, di artisti, è inestricabile l'impasto tra la vita vera e la sua espressione mediata dall'arte: si legge "Capriole in salita" e si è paracadutati nell'esistenza quotidiana del giovane Roveredo, si respirano gli odori che annusava, si vibra allo stesso dolore. Non c'è un altro male: c'è il suo che diventa quello di tutti. E' morto la notte scorsa lo scrittore triestino, classe 1954, sempre dalla parte dei fragili, degli abbandonati, dei più deboli, insomma, quelli che letterariamente vengono definiti gli ultimi in una scala sociale i cui gradini scompaiono nella silente viscosità del dolore senza voce né diritti. Da lì sotto veniva Roveredo e quando, grazie al successo, è emerso alla vita normale, non ha dimenticato la provenienza, e quel punto di partenza ha continuato a descrivere, a raccontare. Senza contare il costante impegno personale per quel mondo invisibile. Roveredo era malato da tempo, con cicliche fasi di malessere più o meno forte; poi l'ultimo mese improvvisamente le sue condizioni sono peggiorate fino a stremarlo e causarne la morte, la notte scorsa, in una struttura sanitaria sul Carso triestino. Aveva esordito nel 1996 con il testo autobiografico, appunto, "Capriole in salita" che lo portò all'attenzione del grande pubblico. C'era dentro tutta la sua infanzia di figlio di genitori sordomuti, gli anni dell' assistenza sociale. Danni profondi, intimi, che lo avrebbero spinto all'alcolismo, anche quando era diventato padre a sua volta. E forse padre difficile da capire, secondo una catena di sofferenza che si trasmette di generazione in generazione. Poi, nel 2005 aveva vinto il Premio Campiello con "Mandami a dire". La Fondazione oggi lo ricorda come "un uomo speciale", una "penna ispirata", dalla forte "caratura morale". Un uomo da ricordare "con grande affetto e riconoscenza". Una vita difficile che è diventata un "monito per noi tutti" segnala la parlamentare Tatjana Rojc, triestina come lui, che lo conosceva bene e con il quale si era più volte confrontata per la situazione dei detenuti e altri reietti. Roveredo fu infatti Garante per i diritti delle persone private della libertà personale, ruolo che ricoprì con grande attenzione. E' in lui che il vicepresidente del Consiglio regionale Fvg, Francesco Russo, individua un vettore per continuare a "sognare un mondo migliore".
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