(di Francesco De Filippo)
GUILLAUME DUSTAN, NELLA MIA STANZA
(CASTELVECCHI, PP. 136, EURO 16,50)
Anime cieche che sconfinano negli orizzonti più distanti e
profondi della depravazione alla ricerca ossessiva del piacere
che possa traghettarle oltre il quotidiano, oltre una frontiera.
In fuga dal terrore o alla ricerca di un senso. La coesa
comunità gay della Parigi degli anni dell'Hiv è così: eccentrica
e ripetitiva, disperante e ossessiva. Guillaume Dustan ne fu un
protagonista, e come titola il suo libro, sembra sia passata
tutta, nessuno escluso, "Nella mia stanza".
Il libro non è per tutti, sarebbe pornografico e volgare:
extreme con dildo, manette, sling, plug, frustini e l'intero
armamentario della dissolutezza. Ma la ripetitività, l'assenza
di compiacimento, la spiattellata autenticità dell'autore e
soprattutto l'enorme carico emotivo non detto ma che inonda il
lettore, lo ribalta in un'opera d'arte. Allora il fantasioso e
caleidoscopico equipaggiamento sadomaso è derubricato a cassetta
degli attrezzi mentre la lussuria ardente e inestinguibile è un
inferno del piacere. Non c'è speranza per chi rimane nel giro,
imbottendosi di popper, coca, acidi, erba per tenere il ritmo di
notti insonni a girare tra i soliti locali, Queen, Folies
Pigalle, Transfert, come elettroni impazziti.
Sembra non esserci redenzione per i componenti della
comunità: si avviano tutti verso il destino che implacabile li
attende per la punizione definitiva per colpe mai commesse.
Infatti, non è per la dissolutezza, non è per aver esaurito il
fantasioso catalogo della lascivia ma come per un peccato
originale che la consapevolezza del destino li schiaccia, li
perseguita, li spinge proprio verso una libidine insaziabile,
simile a una maledizione mitologica. Il terminal di tutto questo
è l'Hiv, l'ultima fermata. Soltanto andare via, partire per
destinazioni non rivelate cancellando le tracce dietro di sé
potrebbe portare alla salvazione. Una dimensione meno febbrile
ed eccentrica, sorta di normalità.
Quando Dustan scrisse questo libro non era ancora entrato in
vigore l'euro e l'Hiv era "sulla buona strada per diventare una
roba tipo il diabete. Finché la previdenza sociale avrà i soldi
ci cureranno, costi quel che costi. Su questo non dobbiamo farci
il sangue amaro", scriveva. Ma intanto, il mondo omosessuale
parigino - ma anche quello di Londra, Amsterdam, Los Angeles,
Ibiza, Sitges, Mykonos - si era sigillato in un ghetto cerebrale
e geografico: "A parte lavorare, in generale, vedere la propria
famiglia, si può fare tutto senza uscire dal ghetto. Sport,
spesa, cinema, ristoranti, vacanze". E sicuramente,
inevitabilmente, "il sesso è il centro di ogni cosa".
Il mondo di ogni giorno è assente dal libro, perfino il
lavoro è un'occupazione che prosegue sullo sfondo, oltre lo
steccato del ghetto: al di qua delle pagine c'è solo il
vorticare frenetico della vita notturna. Neanche lui, Dustan, la
fece franca: magistrato, una volta scoperto di essere
sieropositivo, abbandonò tutto, cambiò nome e scrisse tre
romanzi, tra cui questo.
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