(di Alessandra Magliaro, inviata a Venezia)
Fabrizio De André, il suo idealismo, il suo guardare oltre i conflitti di quegli anni '70, il pacifismo e la difesa degli ultimi, un concept album come Storia di un impiegato uscito nel '73, ispirato al maggio francese, scritto con Giuseppe Bentivoglio e Nicola Piovani. E quel che resta oggi di quelle speranze. "Resta che siamo qua e ne parliamo ancora, perché era avanti forse in quegli anni, attualissimo ancora, o forse atemporale come tutte le cose belle", dice Cristiano De André che con Dori Ghezzi porta oggi fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia 'DeAndrè#DeAndrè - Storia di un impiegato', con la regia di Roberta Lena.
Un film che è un'immersione nel mondo di Faber, pieno di musica ovviamente, di spezzoni storici e dell'omonimo spettacolo che Cristiano ha portato avanti in questi anni, ma anche pieno di privato di De André, di scoperte e di emozioni. Come la villa di Portobello di Gallura, la casa tanto amata e che generosamente Cristiano ha aperto. Anche se il nostro maggio/ha fatto a meno del vostro coraggio/se la paura di guardare/vi ha fatto guardare in terra/se avete deciso in fretta/che non era la vostra guerra/voi non avete fermato il vento/gli avete fatto perdere tempo. Brividi ancora oggi a quelle parole: "C'è tanta attualità ancora nella canzone del maggio, si sente vento di dittature, di restrizioni della libertà. Mio padre aveva un sogno pacifista e mi fa felice quanto ai concerti sento cantare e commuoversi i ragazzi a queste parole", spiega De André che in Sala Darsena al termine della proiezione ufficiale regala un miniconcerto al pubblico. "Dialogare e capirci, Fabrizio non ha mai spesso di dire come la pensava in modo sincero e onesto ed era deluso di non essere capito", aggiunge Dori Ghezzi.
Il bello del film, in sala come evento speciale con Nexo il 25, 26, 27 ottobre, è anche guardare dentro le cose della famiglia. "Ho aperto le porte di Portobello - racconta Cristiano - la casa dove sono cresciuto e che amo, dove ho visto passare da bambino i grandi della commedia italiana, da Walter Chiari a Villaggio, da Marco Ferreri a Ugo Tognazzi (spezzoni di filmini familiari che sono una delizia ndr.), dove si passavano giornate intere a fare dibattiti e io dietro la porta ad ascoltarli. Mi piaceva condividere finalmente questo con il pubblico. Mio padre era un idealista, passava giornate a limare le parole, chiuso nel suo mondo e nel desiderio di comunicare concetti importanti pesando i termini, convinto di poter cambiare il mondo con una canzone, io ero un bambino avrei voluto la sua attenzione di padre. Ho capito tanto tempo dopo i suoi aneliti che non lasciavano spazio ad altro e quando finalmente ho capito è stato un momento meraviglioso perché ci siamo ritrovati e detti tutto.
Adesso per me - conclude Cristiano De André - la cosa più bella portando il suo nome e la sua musica è vedere i ragazzi che abbracciano le sue parole così preziose, vorrei dire a papà che nessun suo pensiero era sbagliato".
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