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Addio a Enzo Moscato, il grande autore del teatro post Eduardo

Addio a Enzo Moscato, il grande autore del teatro post Eduardo

Nato a Napoli nel '48 raccontò l'umanità dei Quartieri Spagnoli

ROMA, 14 gennaio 2024, 20:40

di Paolo Petroni

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Addio a Enzo Moscato, il grande autore del teatro post Eduardo - RIPRODUZIONE RISERVATA

Addio a Enzo Moscato, il grande autore del teatro post Eduardo -     RIPRODUZIONE RISERVATA
Addio a Enzo Moscato, il grande autore del teatro post Eduardo - RIPRODUZIONE RISERVATA

E' Scannasurice il primo vero lavoro di Enzo Moscato, scomparso ieri sera a 75 anni dopo una lunga malattia, viscerale controcanto realistico e surreale tra uomini e topi, esseri sin troppo simili, della sua Napoli dei bassifonddi (bassi e fondaci, come chiosava Fabrizia Ramondino), che quando riprende una decina di anni dopo diventa Scanna-play-suric', in un collage gioco e recita tra vecchio testo e nuove parti in un'alchimia teatrale dolorosa e irridente della sua Napoli, che è emblematica e universale, luogo dell'anima e esistenziale realtà, sentimento e opposizione a un disagio in cui ognuno può ritrovarsi. Poi arrivò Rasoi, con la regia di Mario Martone e, tra gli altri, Toni Servillo e Licia Maglietta, lo spettacolo che nel 1990 lanciò davvero il nome di Moscato, che un posto fuori di Napoli se lo era già conquistato con Pièce Noire (Premio Riccione-Ater 1985) con la sua folla di personaggi femminili sessualmente incerti, facendo conoscere la sua forza e qualità di autore, oltre che poi di interprete delle sue opere. Moscato, della Napoli teatrale post Eduardo, assieme al compianto amico Annibale Ruccello, è il nome più importante e frutto di tutto un tessuto che è molto poco eduardiano (come è invece Manlio Santanelli) e semmai si lega al mondo poetico e popolare di Viviani e si allarga da Patroni Griffi a Pasolini, da Artaud a Genet, perché leggerlo solo come napoletano sarebbe scorretto e limitativo. Non c'è colore nè tantomeno retorica partenopea nella Napoli infetta che Moscato incide con i suoi rasoi mettendone in scena le miserie e l'anima: è teatro in ogni suo aspetto, perché è parola, è linguaggio e corpo da cui scaturiscono naturalmente situazioni e sentimenti. ''Chisto è 'o paese dove tutte 'e parole so durci e amare'', dove si soffre ma ci si riconosce e ritrova.
Nato il 20 aprile 1948 nei Quartieri Spagnoli, sembra non si sia mai mosso da lì, scavandone la realtà umana, guappi, puttane, femminielli, scugnizzi, disoccupati, bambinelli sino a coglierne il nucleo universale e esistenziale, la santità e la perdizione, la vitalità dolorosa, ma non dolente col suo disperato bisogno d'amore, come in 'Festa al celebre e nubile santuario' o 'Occhi gettati' col loro delirio sorridente e una caparbietà nel portare in scena tutto, nel farne un continuo rito teatrale. ''Mi sono sempre ispirato alle storie terribili che raccontavano le donne dei Quartieri - raccontava, con la coscienza di chi si era a suo tempo laureato in filosofia con una tesi psicanalitica sui movimenti di liberazione sessuale in quegli anni Settanta - con un'oralità oggi scomparsa assieme alla la forza del suo insegnamento derivato dalle voci, i toni, le mani, i volti e i corpi''. E poi magari aggiungeva che ''oggi viviamo una crisi antropologica del sentire, non c'è più alcun mistero arcano'', che invece lui evocava usando sempre una ''parola volutamente liturgica, rituale'', come diceva lui stesso, una sua lingua dal fascino barocco, ricca e musicale, reale e realistica, impasto poetico e sempre assolutamente musicale, ricco di chiaroscuri in cui si fondono col suo napoletano d'invenzione, tra il popolare e l'alto della letteratura partenopea del passato, a cominciare dal Basile, oltre l'italiano anche il latino o il francese e l'inglese.
Esemplare allora il suo Raccogliere & Bruciare, una sua personale Spoon River, rievocazioni di morti, prostitute, ragazze violentate, giovani persi, vittime e eroi sino a Shelley e Byron, personaggi reali e personaggi simbolici afflitti o furibondi a confronto col proprio essere e una vita che si vorrebbe scoprire se avrebbe potuto essere diversa, con uno scarto tra realtà e mito che è sempre nel lavoro di Moscato, che qui recupera il culto napoletano per i morti in cui il qua e l'aldilà è come non avessero precisi confini: ''l'immortalità non è questione di tempo, ma di ignoto'', che erano i temi anche di Compleanno, dedicato all'amico scomparso Ruccello. Attore certo, di teatro ma anche di cinema, e cantante (4 i suoi Cd), naturalmente autore di un cinquantina di testi, che sono nel complesso una denuncia e riflettono il suo impegno intellettuale che si è espresso anche attivamente nella direzione artistica del Mercadante - Stabile di Napoli (2003-2006), del Festival di Benevento Città Spettacolo (2007-2009), e riconosciuto da numerosi premi, tra cui il Riccione/Ater 1985, l'Idi 1988, l'Ubu 1988 e 1994, della Critica 1991, il Napoli Cultura 2013 e ancora un Ubu alla Carriera nel 2018. Mario Martone, che con lui ha diviso la fondazione dei Teatri Uniti e l'esperienza al cinema, invita a ricordarlo anche come poeta, "il più straordinario poeta che Napoli abbia espresso negli ultimi decenni". Il sindaco Gaetano Manfredi lo ha definito "orgoglio per la cultura della città" I funerali saranno domani a Napoli alla 15 nella chiesa di San Ferdinando.
   

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