"Sono ebreo ma non so cosa voglia
dire": dopo il documentario road movie realizzato durante il
Mondiale di Calcio di Brasile 2014, Daniel Cohn-Bendit torna ad
afferrare la cinepresa per interrogarsi questa volta sulla
''identità ebraica'', una ricerca molto personale che, a 75
anni, lo ha indotto a partire in Israele. "Quando ho cominciato
ad occuparmi seriamente" di questa questione? "Tardi, molto
tardi, a 60 anni", ha spiegato l'icona del Maggio '68 nonché
ex-europarlamentare di Europe-Ecologie Les Verts dalla doppia
anima franco-tedesca, presentando il documentario che verrà
diffuso domenica, alle 23:00, su France 5. Nel Maggio '68,
'Dany' - come viene affettuosamente ribattezzato tra Parigi,
Strasburgo e Bruxelles - veniva chiamato l'''ebreo tedesco''.
Di qui, il titolo del documentario: "La case du siècle - Nous
sommes tous Juifs allemands". "Prima di allora - ha spiegato -
la mia identità ebraica era 'una evidenza a cui non avevo
riflettuto, un po' nell'idea di ciò che diceva Sartre: è
l'antisemitismo a plasmare gli ebrei". Quindi l'idea di partire
in Israele per rispondere a quesiti del tipo 'Quanto la mia
identità ebraica è superficiale? Israele mi rappresenta?". Nel
documentario, Cohn-Bendit è sia narratore (voce off) sia
intervistatore di diverse componenti della società israeliana e
palestinese. Lui che dice di non andare mai in Sinagoga torna in
un kibbutz, dialoga con i coloni israeliani, incontra giovani
ortodossi di una Yeshiva o una donna rabbino del movimento
liberale. Ma si concentra anche sulla difficile integrazione dei
figli di rifugiati non ebrei in una scuola per loro. Come tela
di fondo il conflitto israelo-palestinese e la questione dei
territori occupati, anche attraverso un dialogo con una cantante
militante del movimento della Pace, o le commoventi
testimonianze di due donne membri di una stessa associazione,
una israeliana, l'altra palestinese, che hanno perso entrambe i
figli.
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