"La docuserie di Netflix su Yara mi è sembrata un'occasione persa per spiegare e mettere un punto sulla vicenda che al di là di ogni ragionevole dubbio è conclusa". Lo dice la giornalista Laura Marinaro, autrice con Roberta Bruzzone del libro 'Yara. Autopsia di un'indagine' pubblicato da Mursia. "Intanto Massimo Bossetti è presentato come un eroe dell'ingiustizia in quella sedia (stile trono) al centro di una stanza, poi mentre atleticamente calcia il pallone… Lui di fatto non dice nulla, non aggiunge, né toglie nulla" sottolinea Marinaro. "C'è veramente ancora qualcosa da dire sul caso di Yara Gambirasio? Ha davvero senso dare la parola a chi ha brutalmente assassinato una bambina per placare i suoi torbidi appetiti? Ci sono davvero 'ragionevoli dubbi' sulla colpevolezza di Massimo Giuseppe Bossetti (come tentano vanamente e insistentemente di farci credere)? La risposta a questi tre quesiti è sempre inesorabilmente la stessa e non cambierà mai: No. Ecco perché la annunciata docuserie di Netflix sul caso di Yara, in cui viene messa in onda anche una lunga intervista al condannato in via definitiva, non toglie né aggiunge niente alla vicenda e alla granitica valutazione effettuata in ben tre gradi di giudizio in cui è stato dato ampio (anzi, ampissimo) spazio alla difesa durante il lunghissimo dibattimento sia di primo che di secondo grado" afferma Bruzzone. "Molto rumore per nulla, insomma.
Massimo Bossetti ha ucciso Yara quella maledetta notte del 26 novembre 2010 e ha firmato quel viaggio nell'orrore con il suo codice genetico in maniera insuperabile. Lo scrivono a chiare lettere i giudici e i consulenti della difesa nulla hanno potuto osservare contro la correttezza delle indagini genetiche svolte: 'Numerose e varie analisi biologiche effettuate da diversi laboratori hanno messo in evidenza la piena coincidenza identificativa tra il profilo genetico di Ignoto 1, rinvenuto sulla mutandine della vittima, e quelle dell'imputato'" aggiunge Bruzzone.
Per Laura Marinaro "ben fatta la parte su Yara chi era lei e sull'angoscia dei suoi genitori, anche se tutto dall'inizio alla fine della ricostruzione è chiaramente fatto per seminare dubbi ancora addirittura su suo padre, dubbi ancora su Silvia Brena che dalle carte, quelle del processo che noi raccontiamo bene, uscì dall'inchiesta con motivazione, dubbi sull'autista della palestra, dubbi sulle testimonianze. Manca quell'onestà intellettuale in cui c'è solo la realtà di come è davvero andata e niente altro. È questo che ha spinto me e Roberta a scrivere il libro, la volontà, attraverso l'analisi degli atti del processo, di raccontare ciò che è realmente accaduto depurandolo dalle molte speculazioni che continuano a cercare di intaccare la fondatezza della condanna all'ergastolo di Massimo Bossetti.
Ecco con questa serie si è fatto un passo indietro in questo senso e il problema è che la vedranno in molti, forse troppi…".
In 'Yara. Autopsia di un'indagine' Bruzzone e Marinaro, che hanno seguito il caso e il processo direttamente e con attenzione scrivono: "Solo una parte di quanto è davvero accaduto in aula è arrivato all'opinione pubblica che ancora oggi, non avendo competenze tecniche, non avendo letto bene le motivazioni delle sentenze, annebbiata da un certo 'complottismo' televisivo, continua a chiedersi se in carcere ci sia davvero l'assassino di Yara. Per questo motivo, per cercare una volta per tutte di fugare quel (assai irragionevole) dubbio, racconteremo come si è svolto quel processo, momento per momento".
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