PEPPE DELL'ACQUA - NON HO L'ARMA CHE UCCIDE IL LEONE (COLLANA 180; 367 pp.; 15,30 euro)
Fosse stato uno scrittore, un commerciante o persino un avventore impegnato in una chiacchiera da bar, passi; ma che a ribadire il luogo comune che "non è una buona cosa mettersi nelle mani di uno psichiatra", fosse proprio uno psichiatra, spiazza il lettore. Anche se l'autore della citazione - che è l'incipit della prefazione al libro - è uno psichiatra particolare, rivoluzionario, Franco Basaglia. Il suo scritto, datato ottobre 1979, andato perduto e poi miracolosamente ritrovato e pubblicato, introduce la terza ed arricchita edizione de "Non ho l'arma che uccide il leone", di un altro psichiatra, Peppe Dell'Acqua, che ebbe la fortuna di lavorare nel 1971 a Trieste con Basaglia, ereditandone e proseguendone di questi il radicale lavoro.
Giunto nella Venezia Giulia da Salerno, Dell'Acqua non andrà più via e per 18 anni resterà alla guida del Dipartimento di Salute Mentale mentre il mentore, spalancate le porte e divelti i cancelli del manicomio di San Giovanni liberando i "matti" e con essi i sani dai pregiudizi e dalle paure nei confronti dei primi, si trasferirà a Roma dove poco dopo si ammalerà e morirà. Dell'esperienza basagliana, che ha fatto scuola nella psichiatria internazionale, esistono pochi testi e ancor meno ricerche sistematiche, spiega Dell'Acqua, a dispetto della traccia che ha lasciato nell'immaginario collettivo, nella società di ogni giorno e non solo nella comunità scientifica.
Dunque, "Non ho l'arma che uccide il leone" che Dell'Acqua pubblicò una prima volta nel 1980 e poi, in un volume tre volte più grande, nel 2007, non solo si conferma attuale con la sua raccolta di storie di vita manicomiale, ma continua a colmare una lacuna. Lo stile è narrativo, Dell'Acqua in pillole o in brevi racconta con umiltà e spirito di osservazione dell'infermiera esperta che lo accoglie con una certa ruvidità in ospedale al suo arrivo, dei tanti episodi di recupero di degenti, ottenuto con capacità di ascolto e comprensione (in un approccio psichiatrico). Da allora moltissime cose sono cambiate: "Quel corpo politico-ideologico e confessionale che aggrediva ogni giorno Basaglia per le sue teorie non c'è più - ricorda Dell'Acqua - e la cultura della gente è cambiata; oggi non ci si pone la domanda 'dove lo metto?', ma 'dove può essere curato?'". Una rivoluzione lunga, simbolo anche di un certa certa apertura politica, e in via di conclusione soltanto oggi con la chiusura definitiva anche degli Opg, Ospedali psichiatrici giudiziari. Dell'Acqua è rientrato pochi mesi fa da un tour tra decine di città italiane proprio per chiedere l'applicazione della legge sugli Opg. Tra navi e treni, si è portato con sé il simbolo dell'apertura dei manicomi, il gigantesco equino azzurro in cartapesta Marco Cavallo che all'epoca fu portato in giro per le strade di una Trieste sorpresa e anche un po' spaventata. "Questa terza edizione - dice ancora Dell'Acqua - nasce anche per insistenza del filosofo Pier Aldo Rovatti, che spesso ha utilizzato "Non ho l'arma" come libro di testo per i suoi studenti universitari".
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