(di Marzia Apice)
MANUELA PIEMONTE, LE AMAZZONI
(Rizzoli, pp.400, 18 euro). Sarebbero dovuti andare incontro
alla "promessa di un'estate di bellezza", invece vissero un
incubo durato anni, ancora bambini, separati dalle proprie
famiglie, lasciati soli, con le teste rasate, ammassati gli uni
addosso agli altri, sempre puniti se disobbedienti, in una
colonia da cui era bandita ogni tenerezza. Ai circa 13000 figli
dei coloni libici mandati in Italia dal regime di Mussolini a
conoscere la patria e a diventare bravi fascisti, poi rimasti
bloccati sul suolo italico in seguito alla dichiarazione di
guerra a Francia e Regno Unito nel 1940, Manuela Piemonte dedica
il suo romanzo d'esordio "Le amazzoni", in libreria con Rizzoli
dal 16 febbraio.
Grazia, sensibilità, una storia potente declinata al femminile
con diversi personaggi ben delineati e un registro narrativo
avvolgente caratterizzano un libro in cui Piemonte fa luce su
una delle tante pagine buie, e poco conosciute, degli anni del
Fascismo e della Seconda Guerra Mondiale. Lo sguardo
dell'autrice, che mescola efficacemente la finzione alla realtà
storica, si posa su tre sorelle, protagoniste del romanzo: Sara,
la maggiore di 9 anni, Angela, 7 anni, e Margherita, la più
piccola di 5 anni. Le bambine, mano nella mano, si imbarcano
dalla Libia, la cosiddetta "Quarta sponda" verso l'Italia e
lasciano lì la mamma e il papà: la loro destinazione sarà una
colonia in Toscana, a Marina di Massa, allestita nell'ex Torre
Fiat, un luogo spartano reso ancora più inospitale e freddo
dalle "vigilatrici" chiamate a "educare" le piccole ospiti. Sara
e Angela custodiscono però un segreto che le rende forse più
forti delle compagne che incontrano: poche ore prima di lasciare
la Libia, avevano avuto l'occasione di vedere nell'oscurità
notturna una donna berbera a cavallo, libera e coraggiosa,
dall'incedere fiero, lanciata come una vera e propria "amazzone"
in fuga verso l'orizzonte. Contro quella "guerriera" era stato
spiccato un mandato di cattura, ma Sara e Angela non avevano
rivelato a nessuno di averla vista quella notte. A
quell'immagine esaltante e rivelatrice, custodita nel cuore e
nella mente, al pensiero di quella donna divenuta un modello di
forza, le due bambine si aggrapperanno quando la colonia in
Toscana si rivelerà più di una brutta vacanza, ma una infinita
prigionia che le terrà lontane dai genitori per lunghi anni,
pieni di difficoltà.
Come una presenza nascosta ma partecipe, l'autrice racconta con
una prospettiva a misura di bambino una vicenda che tocca nel
profondo: senza retorica, sulle pagine si snoda il destino
sospeso e terribile toccato in sorte alle tre sorelle e a tanti
altri piccoli sfortunati come loro che, lacrime contro lacrime,
sogni contro sogni, tra urla soffocate e scatti di ribellione, e
anche con qualche guizzo di ingegno per sopravvivere, hanno
vissuto da "organizzati" (così venivano chiamati) in quei luoghi
di indottrinamento cieco e violento. Piemonte si sofferma
sull'infanzia interrotta, la frustrazione, la solitudine, il
senso di abbandono: accompagna le sue protagoniste, le vede
crescere e trasformarsi, e rivela la forza della loro
"sorellanza". Accanto alla disperazione, l'autrice racconta però
anche la speranza, incarnata non solo dalla forza e dalla
capacità di resistere delle tre giovani protagoniste, ma anche
di quelle donne, coraggiose, guerriere a loro modo e in qualche
modo salvifiche, che le bambine incontrano lungo il loro
difficile cammino.
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