(di Marzia Apice)
SANDRO MARENCO, DILLO AL PROF
(Salani, pp.240, 14.90). "Auguro a tutti i ragazzi che questo
anno appena cominciato sia quello della svolta, in cui possano
creare una scuola in cui loro sono al centro. Una scuola al
passo con i tempi, fatta di esperienze e non solo di nozioni": è
questa la speranza del professore più amato d'Italia, Sandro
Marenco, autore per Salani di "Dillo al prof", libro in cui,
mettendo a nudo prima di tutto se stesso, racconta la sua
incredibile esperienza "social" vissuta nei mesi del covid per
intercettare i ragazzi durante la dad. Entrando da neofita su
TikTok, video dopo video, Marenco ha infatti costruito una
classe di oltre 300 mila ragazzi, conquistando la fiducia degli
adolescenti che in lui, in un periodo di estrema incertezza e
assenza di riferimenti, hanno trovato un amico con cui
confrontarsi. "Se dovessi fare l'appello ci metterei dei
giorni", scherza il prof-scrittore (anche speaker radiofonico e
content creator) intervistato dall'ANSA, "nonostante i numeri,
io non un hater né un commento brutto: la mia è una classe di
persone stupende. Questi ragazzi sono più chiusi di quelli della
mia generazione, ma se poi li scopri ti rendi conto di quanto
sono avanti". Nel libro Marenco racconta di come ha lasciato la
sua vita precedente (lavorava in una multinazionale
dell'elettronica nel ruolo di marketing manager) per dedicarsi
all'insegnamento: oggi, dopo oltre 10 anni dietro la cattedra a
insegnare inglese ("sono ancora orgogliosamente precario",
dice), non si pente di una scelta che lo ha portato a scoprire
di più gli adolescenti e soprattutto a farsi scoprire da loro.
"Non ho mai voluto pormi come un insegnante bacchettone che
lavora sul terrore e la paura: io voglio lasciare un segno di
positività e onestà intellettuale, mi faccio vedere per ciò che
sono, mi pongo con sincerità e garbo, e questo mi ha portato il
rispetto dei ragazzi, anche da parte di chi non la pensa come
me", spiega. Svogliati, sempre sui social, superficiali: così
spesso gli adulti descrivono gli studenti. "Chi ne parla così
non li conosce. E' vero, stanno tanto online, ma è normale, sono
nativi digitali. Ognuno ha i propri mezzi per stare con gli
amici, io ero sempre in sala giochi per esempio", racconta, "di
valori ne hanno forse qualcuno più di noi. Il razzismo e
l'omofobia li vivono ma non partono certo da loro, non ridono
più se si dice gay, è cambiato l'approccio. E non sono
fannulloni, durante la dad hanno dimostrato di essere i più
grandi lavoratori. A loro la pandemia ha tolto tutto, avevano
solo il pc e il loro modo di stare al mondo, hanno fatto tutto
quello che abbiamo chiesto e per questo meritano il nostro
applauso". In questa community digitale, lei spesso ha raccolto
confidenze anche delicate. "Sento una grande responsabilità, per
questo quando creo un video c'è sempre un messaggio. Se il
social è usato in modo intelligente allora diventa uno strumento
di comunicazione che non ha pari. Mi sono inserito nel contesto
di TikTok in un momento in cui c'erano solo balletti e trend da
seguire, io ho portato temi complessi ma senza dare giudizi",
dice, "quando mi sono arrivati messaggi più seri, che potevano
leggere comunque tutti, allora ho deciso di aprire una mail per
preservare quelle confidenze". Lei per molti adolescenti è stato
la persona giusta al momento giusto. "Sì, ma io lo facevo anche
prima, a scuola, quando eravamo in presenza. Se insegni non puoi
fare a meno di questa responsabilità, noi siamo educatori e
punti di riferimento", afferma. Come fa a intercettare con tanta
facilità i ragazzi? "Con la sincerità e senza esprimere giudizi,
ma soprattutto facendo vedere le mie fragilità", racconta,
"mostrare solo momenti belli di certo non aiuta gli adolescenti:
io ho rivelato che per primo ho sofferto e soffro di depressione
e che a volte mi devo curare. Per loro è stata una svolta,
perché si sono sentiti liberi di raccontarsi con le loro
debolezze. Io sono un fan delle fragilità". La scuola è sempre
terreno di scontro della politica: come potrebbe essere
migliorata? "La scuola è come la sanità, riguarda tutti, ma
finché non mettiamo al centro i ragazzi che devono essere il
nostro primo obiettivo non ne usciamo vivi", dice, "vorrei che
finisse la competitività e l'eccessiva importanza data al voto,
che non definisce la persona ma solo una performance. Bisogna
cambiare metodo di insegnamento, cercando altri percorsi: io ho
sempre finito il programma ministeriale, ma ho tentato anche di
far divertire i miei allievi". Cosa vorrebbe dire ai suoi
colleghi? "Ai miei colleghi faccio i complimenti, ne siamo
usciti tutti a testa alta, facendo il massimo durante la
pandemia", afferma, "ora proviamo a cambiare la scuola insieme
ai ragazzi, senza divisioni".
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