VERONICA GALLETTA, 'NINA SULL'ARGINE' (MINIMUM FAX, PP.222 - 16,00 EURO)
Una piena, un fiume che esonda, si porta via molte cose, anche con forza e dolore, e lascia dietro di sé un paesaggio diverso, ridisegnato. E' forse in questa realtà che si trova la metafora di questo romanzo particolare e raro nella nostra tradizione, il cui unico vero collegamento mi pare possa essere quello con Paolo Barbaro, che ha narrato il suo lavoro di ingegnere tra poesia, tecnica e esame esistenziale.
Qui, inoltre, la vicenda di Caterina e della costruzione di un argine e un canale per il fiume che passa per la frazione di Spina, comune di Fulchré, sulle pendici dei monti a nord della Val Padana, tutto è al femminile, quindi con diversa ottica e introspezione, disagio e insicurezza, anche perché siamo negli anni '80 del secolo scorso, con ancora la lira e l'Italia campione del mondo di calcio. Così, a dirigere un grande cantiere, una donna non l'avevano mai vista e tutto inizia in difesa, col geometra Bernini che la chiama Signora e lei che ribatte: Ingegnere, per favore. Il racconto, in terza persona, narra di una crescita che è personale, in un momento di crisi e con una storia di quindici anni appena finita, per abbandono di lui, Piero, e con l'arrivo di un primo, improvviso incarico importante (al ministero ci sono stati tanti arresti, dopo le indagini della magistratura su appalti e collaudi), da cui anche vengono ansie e timori.
Caterina si sente inadeguata a un rapporto, a quel rapporto di coppia, e anche al cantiere che deve far andare avanti, avendo a che fare con interessi locali, lavoro non sempre fatto a regola d'arte, ambientalisti come Musso, che tentano di fermarla e screditarla.
Da una parte c'è il progetto, coi suoi disegni geometrici, i suoi diagrammi e calcoli matematici, dall'altra poi il cantiere, che è polvere, e rumore e fango. Così, andando avanti, vedrà come a regolare tutto ci siano leggi, norme, contratti con le loro specifiche, dove però non c'è scritto "come trattare con la controparte quando le vite si incrociano e si deve trattare con gli esseri umani", o cosa fare quando il terreno comincia a cedere e si finisce per pendere da una parte: "L'unica soluzione è arrendersi, affondare anche l'altro piede, e pazienza, se ci avevano assicurato che la terra su cui camminavamo era fatta per sopportare quattrocento chili".
Insomma, metafora e lavoro si sovrappongono continuamente, ma con lievità, intrinsecamente anche se con momenti di coscienza, nel racconto del quotidiano, ben portato avanti tra particolari tecnici e vita degli anziani al caffè di Spina, tra i pranzi con l'assessore e i confronti col geometra (e magri un po' d'invidia per il lavoro manuale, pulito, esperto degli operai con i loro turni regolari). Giornate nella nebbia e davanti all'argine, che difendono ma anche limitano, annullano la realtà e spingono all'illusione, a incontri fantasmatici per trovare un po' di sicurezza, come quello con l'operaio Antonio (siciliano come Caterina), a contraltare con quello con la signora Bola, che non firma per l'esproprio per principio, ma è contenta che i lavori creino protezione al paese.
Allora la figura di Caterina, con anche ovviamente la sua vita privata, che viene fuori dalla chiara scrittura di Veronica Galletta, ha la sua forza in una misura di umanità, di verità, tra incertezze e capacità reali, tra fare i conti col passato e andare avanti come si deve. "Costruire un argine è una cosa complessa... perché se si forma una breccia puoi anche riparare, ma qualcosa rimane... L'argine lo sa, La memoria rimane" e allora, ma mano che si procede nei lavori l'ingegnere capisce che "forse è questo, crescere: capire che i fenomeni non sono reversibili, che ogni traccia lascia un'impronta. Che esiste una fatica, come nei materiali, e la fatica è un fenomeno pericoloso, dal quale bisogna preservarsi".
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