(di Paolo Petroni)
ADA D'ADAMO, ''COME D'ARIA'' (ELLIOT,
pp. 134 - 15,00 euro). L'autrice li chiama libri con dentro
''storie di malattia e di lutto, storie di sofferenza e di
dolore'' in cui sono le parole liberatorie e magari il ricatto
dei sentimenti di chi quelle vicende le ha vissute, ma questo
suo, che di quel gruppo fa inevitabilmente parte, si distingue
subito per una sua luminosità, per un'apertura al mondo e la
vita che continua, per la verità di un amore che, evitando così
ogni egotismo, viene qui raccontato proprio al soggetto di
questo sentimento, a Daria nata con grave disbilità, che non
vede e non è minimamente autonoma.
Si parla molto di corpo, che è ovviamente al centro di tutto e
di cui l'autrice, da danzatrice, ''per anni ha ricercato la
grazia del gesto'', abituata a tenere sotto controllo anche ''la
posizione di un mignolo'' e si ritrova alle prese con ''un corpo
completamente fuori controllo, con scatti epilettici, una
schiena e una testa incapaci di stare dritte'' e alla fine anche
con i danni al proprio corpo, per un grave tumore al seno, di
cui riappropriarsi dopo i guasti della chemioterapia, con
fatica, impegno e dialogo: ''Ti voglio bene, voglimi bene pure
tu'', anche perché ''per avere un figlio disabile ci vuole,
innanzitutto, il fisico'', è impegnativo e faticoso.
Eppure non è il corpo la sostanza di questa narrazione sempre
vigile e lucida, che narra cedimenti e paure, ma anche il
coraggio e la volontà e la forza come elementi naturali
dell'accettare la vita, di soffrirla e gioirne imparando ogni
giorno qualcosa con amore, quello che si dà e quello che si
riceve. In questo caso c'è la fortuna di essere sempre in tre,
riuniti con le inziali proprio nel suo nome, Ada, che contiene
al centro Daria e poi Alfredo, il compagno e papà, perché la
malattia può distruggere ma anche ''moltiplicare l'amore'' e
vincere quei momenti in cui la normalità degli altri, la loro
vita che scorre come prima, che non è cambiata, scava dentro la
tua intima solitudine, e tu ti chiedi come hai fatto a non
crollare. Ed è in questo contesto, grazie a questo, che il
corpo si trasforma, sembra perdere peso come quando si è in
acqua e l'autrice riconosce quella ''incorporazione'' teorizzata
dal coreografo Steve Paxton, ''il passaggio da corpo a corpo di
informazioni, pratiche e tecniche, quindi la capacità del corpo
di creare conoscenza'', sentendo i limiti del corpo di Daria,
che ''prima conoscevo attraverso te, poi ho cominciato via via a
incorporarli'' in uno scambio quasi simbiotico. Per questo il
libro inizia il suo percorso affermando: ''Sei Daria. Sei
d'aria'' e finisce annotando ''Sono Ada, Sarò d'aria''.
E l'aria, la leggerezza del mettersi a nudo con semplicità, con
naturalezza, guidano il lettore e lo coinvolgono in questo
tenero racconto affettuosissimo di accettazione dell'altro e
della sua alterità che una madre fa alla figlia (pur essendo
capace di dire che, adorando la sua figlia imperfetta, se non
avessero sbagliato i risultati dell'amniocentesi, allora avrebbe
abortito) intrecciando continuamente passato e presente e,
spiegando tutto a lei, spiega a se stessa (e a noi) cosa è
accaduto nell'arco dei primi sedici anni di vita di Daria,
compreso l'ultimo in cui la mamma è stata piegata, ma non
spezzata, dalla malattia.
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