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INES CAGNATI, GIORNO DI VACANZA (ADELPHI, PP. 152 -18,00 EURO. TRADUZIONE LORENZO DI LELLA E FRANCESCO SCALA)
Madri terribili quelle raccontate da Ines Cagnati, madri che amano male, che non sopportano la realtà di una figlia come essere indipendente e assieme sono possessive per paura e sensi di colpa, così quella di Marie in 'Génie la matta' e così questa di Galla in 'Giorno di vacanza', che piange e la ricatta dicendole di non lasciarla sola quando lei se ne va con la sua malandata bicicletta in città, a 35 chilometri di distanza, dove studia da interna in una scuola, tornando ogni due settimane.
Capita così che andandosene un giorno, a lei che sa come nessuno la volesse quando è nata e che avrebbe preferito non nascere, scappa di urlarle "Vorrei che non fossi mia madre". Parole che poi la perseguitano e la spingono a scappare dal suo istituto per tornare a dire che non pensava quel che le ha detto.
È il giorno di vacanza del titolo, ma quel termine vacanza è oggi sviante e credo sarebbe stato meglio tradurre l'originale congé con congedo, un congedo dalla vita che in quel sabato cupo e ferale sarà tutta da recuperare, ritrovare per poter andare avanti e appunto sopravvivere. Sarà la sua bicicletta, il suo "bene più prezioso" che avanza "lamentandosi come una salamandra" e ha la fortuna di avere le gomme piene che la salvano dal fermarsi di continuo, scivolando alla fine nel fiume, inghiottita dalle acque, a dare il segnale del suo distacco dalle origini senza più il mezzo per tornare a casa.
Lettura credo più corretta di quella che offre una possibile ambiguità, segnando invece il naufragio della stessa protagonista. Il fatto è che Galla in quel suo mondo scuro tutto sassi, gelo e fango, dove solo per disperazione il padre tenta di coltivare qualcosa, rappresenta comunque l'unico vero attaccamento alla vita con la speranza che possa essere diversa, così come esistono posti in cui la terra è invece buona e fertile, una compagna di scuola come Fanny che "è come un luminoso sole di primavera" o animali come il suo amato cane Daisy che lei sì sa essere "una buona madre".
Una buona madre anche per Galla stessa che la accoglie nella sua cuccia e la riscalda quella notte in cui, arrivata a sorpresa a casa, il padre non la fa nemmeno entrare, anzi la minaccia e scaccia richiudendosi dentro, da dove nessun altro si fa vivo e quel che è accaduto alla madre con quell'uomo violento e col bastone sempre pronto in mano non viene detto esplicitamente e la ragazza sembra non riesca nemmeno a pensarlo, ma il lettore lo intuisce subito. E con questa ombra sinistra che procede quella giornata di ricordi e fatale resa dei conti.
Un ambiente e personaggi primordiali, di amori disperati e rabbiosi. Una storia estrema e cupa, segnata dalla morte e dalla palude che tutto inghiotte, dai sassi su cui nulla cresce e dal ghiaccio che attanaglia ogni cosa, raccontata con anche troppa insistenza e sottolineature quasi ripetitive a rimarcare una situazione che si può dire infernale e nera in cui l'unico lumicino è forse appunto la vita di Galla, che pure, sempre angociata e con la paura di essere ingiusta, di sé dice "somiglio alle pozze della palude: è terribile essere come me".
Un gioco rabbioso e senza retorica ma che alla fine appare un po' quasi manieristico, nonostante una bella aspra scrittura in questa opera prima datata 1973 della Cagnati, figlia di contadini veneti emigrati in Francia, scomparsa nel 2007 a 70 anni, che troverà invece una propria misura e soluzioni narrative più articolate e dolenti in 'Génie la matta'.
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