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In evidenza
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(di Elisabetta Stefanelli)
MARIO ROSSO, LE CATTEDRALI
DELL'INDUSTRIA. Un'insolita storia di management tra Olivetti,
Fiat e Telecom (GueriniNEXT, pag. 221, Euro 21,50).
Da Gianni Agnelli a Mary Turner, dall'avvocato che partecipava
alle riunioni Fiat formale e distratto, fino alla Ceo malese di
Tiscali Uk che, prima delle grandi occasioni, girava per
l'azienda ''scuotendo campanelline colorate''. Un universo
profondamente e radicalmente cambiato quello dei vertici
aziendali, vissuto dall'interno da Mario Rosso dai primi anni
Settanta ai Duemila. È un'evoluzione che il filosofo prestato
all'economia aziendale racconta in un libro, Le cattedrali
dell'industria, affascinante per le sue tante chiavi di lettura.
Sarà che Rosso non smette mai di considerarsi, in fondo, un
outsider, che il suo sguardo ha la freddezza di chi guarda il
mondo dall'esterno ma le sue pagine sono uno spaccato capace di
cogliere l'evoluzione sociale e umana di un universo, quello dei
manager, per lo più misterioso per i non addetti ai lavori.
Si parte, appunto, negli anni Settanta, quando un
giovanissimo Mario Rosso appena laureato in filosofia teoretica
a Torino inizia a lavorare prima nella Olivetti e poi in Fiat
con una facilità che oggi fa impressione. Siamo negli anni del
terrorismo e delle Brigate rosse che tra le fila degli operai
Mirafiori trovano molto credito. Violenza e siderale distanza
tra chi è alla catena di montaggio e chi resta chiuso negli
uffici segnano quegli anni che sembrano appartenere ad un altro
mondo, con sfumature quasi ottocentesche. Si passa attraverso lo
sconvolgimento di Tangentopoli, poi si apre l'orizzonte del
mondo digitale, prima con Telecom poi con ANSA e infine Tiscali,
in una accelerazione epocale che Rosso vive dall'interno tra
esperienze personali sempre molto intense in una commedia
drammatica molto umana.
''Dietro lo schermo delle discipline razionali, delle tecniche
e dei modelli, una Commedia Umana ininterrotta - scrive - che
tende a virare molto di più verso il dramma che verso la farsa:
molti sono i mostri, gli errori e di conseguenza i danni, i
fallimenti, le sofferenze e i sacrifici che ne sono scaturiti.
Quasi sempre pagati e patiti non da chi quelle decisioni le ha
prese in quel modo, sbagliando, ma da tanti altri, vittime
inconsapevoli o complici inconsapevoli, e sovente proprio da
coloro che, per quel che potevano, quelle decisioni le avevano
contrastate''. Ci sono quindi i potenti descritti in modo
ravvicinato con una lente d'ingrandimento molto originale: da
Romiti a Bernabè, dall'appena scomparso Colaninno a Soru. Ma poi
anche i quadri, a volte eroici, come nell'episodio da film -
tutto da leggere - dell'assalto alla divisione meccanica di
Mirafiori. E la manodopera, con le donne che si rifiutano di
lasciare la catena di montaggio, gli operai avvolti dalle
scintille delle fonderie in un quadro dantesco, o gli uomini che
escono dalle caverne come oscuri fantasmi della fabbrica di
elettrodomestici di Orleans. Mario Rosso passa da Torino a
Pittsburg, attraversando Milano, dalla Fiat alla Rinascente, dai
motori alle lobby romane, dalla scalata della Telecom (subita),
all'orgoglio del futuro del mondo della notizia con l'ANSA, e
ancora a Tiscali dominata dal fascino del genio di un uomo come
Soru.
''Il potere l'avevo studiato sui libri, un po' approfondito
nella esperienza da sociologo, ma non avevo la minima idea di
cosa fosse in realtà. Non quello degli altri, ma il mio. Perché
il potere è come una malattia, non si capisce mai veramente
finché non la si prova in proprio, cioè, nel caso del potere,
non lo si esercita''. Rosso lo ha esercitato in molti luoghi e
con molte sfumature - dal capo del personale all'amministratore
delegato - ma poi alla fine, tra mille turbolenze, quella che
racconta è una storia di persone. Quasi tutti uomini a dire la
verità, tranne che per la costante e amorosa presenza della
moglie Gavina la cui voce riecheggia continuamente in queste
pagine di storia.
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