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In evidenza
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(di Paolo Petroni)
REMO RAPINO, ''FUBBAL'' (MINIMUM FAX,
pp. 150 - 16,00 euro). Mentre indifferente a tutto procede
questo campionato di calcio, con le società in deficit e i
giocatori sempre più milionari, a dare un pessimo spettacolo
dello sport, vale davvero la pena leggere di Rapino, autore che
vinse il Premio Campiello nel 2020 con ''Vita, morte e miracoli
di Bonfiglio Liborio'', questo libretto dedicato a quando i
numeri sulle maglie andavano dall' 1, il portiere, all' 11
l'attaccante e per il fubbàl, come si diceva, a contare era
soprattutto la passione, che di soldi ne giravano pochi, e in
provincia ancora meno.
I dodici personaggi, a ogununo dei quali è dedicato un
capitolo, da Milo il portiere sino a Oliviero l'allenatore, sono
un po' tutti parenti di Bonfiglio Liborio come del Mengo delle
''Cronache delle terre di Scarciafratta'', sono ovvero vite ai
margini, confinate nei campetti di provincia e con storie e
sogni originali, caratteri eccentrici, ma non per questo meno
umane e vere, meno ricche di sentimenti e avventure che, tutte
assieme, restituiscono un affresco del calcio e dell'Italia di
quei tempi, di quando Rapino, classe 1951, era giovane.
Ecco allora Milo, di famiglia socialista che, per far di più,
decide di essere comunista, fino a una mattina in cui si sveglia
arruffato e ''con una faccia così, da sottotetto di Parigi''
dicendosi che ''pure comunista era poca cosa, allora diventai
anarchico e basta'' col fatto poi che ''il portiere è indifeso,
solo nello spazio e nel tempo. Così mi sembrava che quel ruolo
fosse la scelta più coerente con quella dell'anarchia''. Ma non
basta, decide anche che avrebbe giocato ''solo con squadre dalle
maglie rossonere, Rosso e nero come la bandiera dell'anarchia'',
girando tutta la penisola e finendo anche a Nizza, dove dice che
gli piaceva perdersi ''tra le sale del museo Matisse''.
Non c'è, in questa squadra narrata da Rapino, solo Giuseppe,
figlio di immigrati merdionali arrivato in una grande città del
nord, mediano la cui vita è stata sempre una corsa a perdifiato,
dal prendere l'autobus per la scuola, dove i figli di papà
avevano sempre otto e nove e così ''affanculo maestri e
professori'', all'essere generosi in campo ''perché tu sei
quello che corre e recupera''. C'è pure il libero siciliano,
figlio di un fornaio, detto Treccani perché legge Sartre, Camus
e frequenta biblioteche e librerie, sorridendo tra sé per
'''quanti credono che chi gioca a calcio abbia orizzonti
limitati'', sino a quando da anziano si rammarica di essere
''finito così, a scrivere e leggere stupidate: trise solitario
finale''. Tre parole per citare il titolo del capolavoro
dell'argentino Osvaldo Soriano anche autore di celebri ''Storie
di calcio'', una cui frase (''Il calcio ha le sue ragioni
misteriose che la ragione non conosce'') è una del citazioni che
aprono ogni capitolo, andando da Galeano a Hikmet, da Borges a
Bob Marley, arrivando all'allenatore dell'Argentina Carlos
Bilardo con la sua affermazione: ''Io i giocatori li metto bene
in campo, il problema è che loro poi si muovono''.
Tutto quindi alludendo a episodi o partite celebri, facendo
riferimento a nomi di campioni, al mondo reale cui alla fine
anche i suoi personaggi finiscono per appartenere, ritrovandosi
magari, alla fine della guerra, a fare il partigiano in montagna
nella Brigata Maiella e a rubare armi alla milizia fascista come
Oliviero che, dopo la Liberazione, diverrà allenatore sino alla
stagione 1952/53. Una galleria in cui troviamo chi si lamenta
''di non essere mai stato espulso'' e chi invece è un vero e
proprio ''scuoiatore di caviglie'', tutti che si raccontano a
fine carriera, dando vita a una lettura alla scoperta di tanti
particolari e sorprese sorretta da una scrittura di bel ritmo,
sentimentale senza retorica e con una nota più
malinconica che nostalgica che ci coinvolge in quel mondo, di
cui non sarà possibile dimenticarsi tornando in uno stadio o
davanti a una partita di oggi in tv.
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