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In evidenza
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(di Paolo Petroni)
JIRI WEIL, ''SUL TETTO C'E'
MENDELSSOHN'' (EINAUDI, pp. 300 - 20,00 euro - Traduzione di
Giuseppe Dierna) - La letteratura Ceca, col suo spirito
impegnato e irridente, drammatica ma col sorriso sotto i baffi
giocando su un realismo che ha un labile confine col fantastico,
così da aprirvi fessure e porre interrogativi non contingenti,
ci riserva con questo romanzo spaventosamente umoristico
sull'occupazione nazista di Praga e il nonsenso della vita,
pubblicato postumo, un anno dopo la morte dell'autore Jiri Weil
(1900 - 1959), una nuova sorpresa, grazie a un ricercatore,
studioso e traduttore di quella cultura come Giuseppe Dierna.
Reinhard Heydrich, SS vice Generalprotector della Boemia e
musicofilo, scopre che sul tetto del Rudolfinum, il tempio della
musica praghese, tra le varie statue di compositori svetta
quella ''nauseabonda'', per un edificio dai nazisti consacrato
all'arte tedesca, dell'ebreo Mendelssohn e ordina si faccia in
modo che venga al più presto rimossa. L'assurda vis persecutoria
è solo l'inizio di una vicenda sempre più tragicamente comica e
grottesca, visto che le statue non hanno il nome sul piedistallo
e l'incaricato di far eseguire l'operazione, Julius Schlesinger,
aspirante SS, sa quindi solo invitare gli operai a trovare
quella col naso più grosso, un naso ebraico, ma questa si rivela
a sorpresa essere quella di Wagner. Così in un gioco di
imbarazzi, di scarico di responsabilità e di minacce se l'ordine
non verrà eseguito, si pensa di rivolgersi per l'identificazione
tra l'altro a un colto ebreo, prelevato da dove vive segregato,
che però si scopre come abbia sapienza solo dei libri sacri,
finché si arriverà alla soluzione e la statua adagiata sul
tetto, diverrà invisibile.
Ma ad avere un ruolo nel romanzo c'è anche un'altra statua,
di gesso e che rappresenta la Giustizia, arrivata al magazzino
della Gestapo in cui si raccoglie tutto quanto sequestrato nelle
case delle famiglie ebree avviate ai lager. Il responsabile del
luogo, pur di liberarsene ''per scaramanzia'' come dice, in
realtà perché la sua presenza dà fastidio, la rifila per due
lire a un antiquario. Eppure questa riapparirà improvvidamente
al magazzino, dopo un imprevedibile giro di acquisti, e allora
sarà distrutta a martellate, così, sottolinea l'autore, ''la
Giustizia non sarebbe stata più d'intralcio a nessuno''.
Il racconto del resto, una ben costruita girandola di
invenzioni narrative e senza un vero protagonista principale, è
quello di un mondo che ha perso ogni ragione e tutto, anche il
sopravvivere o morire è casuale, dipende da un qualsiasi
fraintendimento o da un colpo di fortuna. Più si va avanti, più
tutto si fa drammatico, il grottesco diventa tragedia,
attraverso la persecuzione degli ebrei, le partenze dei convogli
col loro carico, sino all'amore tedesco per l'arte che progetta
la costruzione di un museo paradossale che testimoni, attraverso
i suoi tesori, la storia e altezza della cultura ebraica che si
sta distruggendo.
''All'epoca la morte ti scivolava accanto ovunque in una
Praga ormai spettrale in cui ''quegli intrusi'' la morte la
celebravano ovunque, ma si scopre anche che è possibile
opporvisi e che ''ci sono molti modi per lottare, e il più
sicuro è farlo con un arma in mano'', come faranno Jan Krulis e
Rudolf Vorlitzer che, morendo lascerà due giovani nipotine
pericolosamente nascoste in una casa amica. Tutte storie che si
sviluppano e vanno a comporre la narrazione generale sullo
sfondo storico, Si arriva sino alla fine, alla rovina del Reich
con l'arrivo delle truppe sovietiche, e allora, dalle statue,
dal ''deserto pietrificato'' cui l'uomo ha ridotto la terra, si
passa alla natura con la sua imperturbabilità, a un bosco: ''Gli
alberi crescevano vittoriosi e immortali. Loro fornivano ogni
cosa, si mostravano utili, e quando poi erano costretti a
morire, morivano in piedi. Non erano pietra morta, eretta a
futura memoria per minacciare o ricordare, erano la vita che
vince la morte''.
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