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In evidenza
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(di Elisabetta Stefanelli)
HAN KANG, 'NON DICO ADDIO' (Adelphi,
pag, 265, euro 20,00. Traduzione di Lia Iovenitti).
È una lingua che sembra una lama quella di Han Kang su cui la
narrazione scorre lentamente come la lumaca che la scrittrice
evoca nelle prime pagine di questo Non Dico Addio, romanzo in
uscita per Adelphi il 5 novembre giusto in tempo per scrivere
nella breve biografia che l'autrice sudcoreana ha appena preso
il premio Nobel, tre settimane fa, l'11 ottobre. Mentre la
cerimonia di consegna alla scrittrice, insignita "per la sua
intensa prosa poetica che affronta i traumi storici ed espone la
fragilità della vita umana" deve ancora avvenire, e sarà il 10
dicembre a Stoccolma. E in questo Non Dico Addio i temi della
sua poetica tornano con forza ed efficacia.
"Allora ho pensato che quel mare livido che saliva,
strappando le ossa alle loro sepolture - scrive -, probabilmente
non c'entrava nulla con le vittime del massacro e il periodo
successivo. Poteva anche trattarsi di un semplice presagio
personale. Forse quel paesaggio di tombe sommerse e lapidi
silenziose mi stava rivelando cosa aspettarmi dalla mia vita in
futuro. Ovvero precisamente adesso". Inizia con un oscuro
presagio che irrompe nella quotidianità questo bellissimo
romanzo apparso per la prima volta nel 2021 ed ora tradotto
nell'edizione italiana da Lia Iovenitti, che con Han Kang ha una
consolidata consuetudine.
"Be', io intanto sto qui e vado avanti" dice l'amica In-seon
fotografa e artista ora sul letto d'ospedale con le dita
mozzate, sottoposta ad una terribile tortura per resistere e
riprendere l'uso della mano. È il senso della volontà e della
determinazione che la protagonista Gyeong-ha cerca per rialzarsi
da quel pavimento freddo dove si trova, travolta dall'astenia e
dai disturbi alimentari in un libro che è tutto impastato di
determinanti, quanto poetiche, metafore. Cercare un senso nelle
persone che ancora rimangono dopo una lunga cerimonia di addii.
Forse le più inaspettate, quelle che non ci verrebbero in mente
se dovessimo chiedergli di occuparsi del nostro testamento.
L'addio, il distacco, la perdita vera o metaforica è il filo
rosso di questo romanzo che sembra scarnificare la realtà
mirando al senso delle cose. E la lingua di Han Kang è sempre
come un'elegantissima danza pure nella crudezza delle storie a
cui l'autrice de La Vegetariana ha abituato i suoi lettori.
Sullo sfondo di Non Dico Addio il massacro di Jeju-do che portò
ad un vero e proprio genocidio della popolazione dell'isola
sudcoreana tra l'aprile del 1948 e il maggio dell'anno
successivo con l'obiettivo di reprimere la presunta rivolta
comunista, massacrando indistintamente uomini donne e bambini.
Il massacro aleggia come un sogno in queste pagine in cui il
confine tra la vita e la morte è labile, spesso ondeggiante come
quei fiocchi di neve ricorrenti che rendono la realtà simile ad
una visione con la loro brillantezza quasi allucinatoria.
Ma nemmeno affidarsi al sogno aiuta: "I sogni sono
terrificanti", confessa la protagonista Gyeong-ha. "Anzi no
umilianti. Perché svelano cose su te stessa delle quali non
avevi alcuna consapevolezza". E aggiunge: "Che strana notte.
Penso. Sto confessando qualcosa che non avevo mai raccontato ad
anima viva". Ma forse anche quell'anima non è più viva.
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