"Evitare lo spegnimento del ciclo integrale a caldo dell'ex Ilva". E' l'appello che Confindustria rivolge al governo e a tutte le istituzioni coinvolte, a seguito della pronuncia del Tar di Lecce. "Interrompere la produzione e la fornitura dell'acciaio prodotto a Taranto mette in seria difficoltà le intere filiere della manifattura italiana che ne hanno necessità", sottolinea la confederazione.
La fermata forzata degli impianti, stabilita dal Tar di Lecce "senza la disponibilità di una stazione di miscelazione azoto e metano, non permetterebbe la tenuta in riscaldo dei forni e ne conseguirebbe il loro crollo e quindi la distruzione dell'asset aziendale di proprietà di Ilva in Amministrazione Straordinaria". Lo apprende l'Ansa da fonti legali vicine al dossier Arcelor Mittal, che evidenziano "rischi per la sicurezza" e il fatto che ci sarebbe un "totale blocco della produzione dello stabilimento, qualificato di 'interesse strategico , l'unico sul territorio nazionale a 'ciclo integrato' per la produzione di acciaio".
Sessanta giorni per chiudere l'area a caldo. Nel giorno del giuramento del nuovo governo, mentre i ministri ancora devono completare passaggi di consegne e insediamento, scoppia per l'ennesima volta la grana dell'ex Ilva. A fare da detonatore una nuova sentenza del Tar di Lecce che, respinti i ricorsi di Arcelor Mittal e della vecchia società in amministrazione straordinaria, impone di fermare le attività più inquinanti degli stabilimenti di Taranto al massimo entro due mesi. Ancora una volta il destino delle acciaierie sale in cima ai dossier più spinosi per il governo, che già nelle prossime due-tre settimane dovrà occuparsi di alcune urgenze, dalle cartelle ai ristori.
Il problema delle emissioni nocive dell'ex Ilva non deve essere contrastato aumentando le risorse per le cure dei cittadini, ma intervenendo sulle fonti inquinanti. E' questo, in sintesi, il pensiero del presidente dell'Ordine dei Medici di Taranto, Cosimo Nume, il quale sostiene di aver "riascoltato" tra le reazioni alla sentenza del Tar che impone ad ArcelorMittal di chiudere entro 60 giorni l'area a caldo dello stabilimento siderurgico, la "proposta di rendere disponibili - spiega - ulteriori risorse economiche per affrontare l'emergenza sanitaria connessa all'impatto delle emissioni inquinanti, cui sembrerebbe sottendere tuttora un'ottica eminentemente risarcitoria per i danni alla salute". Secondo il presidente dell'Ordine dei Medici, "un danno alla salute non deve essere compensato quanto piuttosto prevenuto, adottando tutte le misure che il principio di precauzione impone a qualunque attività antropica che presenti rischi per l'integrità psicofisica dei cittadini". Nume chiede "che si abbia cura in primo luogo di attivare, predisporre e rendere operative, da parte di quanti ne hanno responsabilità a qualunque livello, tutte le procedure che escludano per il futuro altro nocumento ai lavoratori e ai cittadini di Taranto". Tutto il resto, conclude, "non è neppure politica, arte antica e nobile, ma molto più probabilmente una pervicace miopia con cui si guarda al complesso problema senza alcuna capacità di trovarne le soluzioni".
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