Svolta "storica" sulla strada d'una maggiore equità globale nella tassazione delle grandi aziende, destinata nelle intenzioni a far pagare di più in primis chi si è arricchito ulteriormente nei mesi della pandemia (ossia i colossi del web) e a garantire risorse a Paesi e governi alle prese con l'esigenza di continuare a usare la leva dell'intervento pubblico per sostenere la ripresa post-Covid. E' il risultato chiave della riunione dei ministri finanziari del G7 chiusasi a Londra sotto presidenza britannica: riunione a cui l'Italia ha partecipato con Daniele Franco (esordiente in veste ministeriale), gli Usa con l'ex presidente della Fed e nuova segretaria al Tesoro dell'amministrazione Biden, Janet Yellen, e nelle cui conclusioni è stata rimarcata la volontà di insistere nella strategia di politiche economiche "espansive" per tutto il tempo che sarà necessario a uscire dalla crisi, sia pure con l'impegno a vigilare su deficit e a rimettere in sesto i conti pubblici una volta superata la recessione. L'intesa anti-elusione infatti per ora impegna i 7 Grandi, in attesa di essere discussa nella sede del G20 a presidenza italiana nell'ambito del vertice di luglio a Venezia allargato alla presenza di altri attori cruciali del mondo, come Cina e Russia. Ma rappresenta fin d'ora un passo in avanti potenzialmente nodale: "un passo storico verso una maggiore equità fiscale", come ha definito l'intesa il presidente del Consiglio Mario Draghi e tutt'altro che scontato in seno allo stesso G7 ancora fino a "tre mesi fa", ha notato Paolo Gentiloni, presente in rappresentanza di Bruxelles come commissario Ue, che ha riconosciuto l'importanza "del cambiamento dell'amministrazione americana" e del "ruolo personale svolto da Janet Yellen" per il raggiungimento di questo traguardo "formidabile".
In sostanza, come indicato dal comunicato finale della riunione e come spiegato più tardi ai giornalisti anche dal ministro Franco, si tratta di un intesa fondata su "due pilastri": l'introduzione del principio di un'aliquota globale minima del 15% per le grandi imprese, da applicare Paese per Paese in modo da allontanare gli eccessi di concorrenza sleale; e quella di una stretta sull'elusione che dovrebbe riguardare anche e soprattutto i big Usa del tech (non citati espressamente, ma evidentemente compresi fra le multinazionali di spicco) con l'imposizione di tasse sul 20% degli utili oltre la soglia del 10% di profitto da "riallocare nei Paesi in cui si effettuano le vendite". Al netto della domiciliazione nominale in qualunque paradiso fiscale. Un sistema che a regime dovrebbe portare miliardi di euro in più nelle casse di tanti Stati; costringere colossi come Amazon, Facebook, Google o Microsoft a versare complessivamente di più; e consentire di evitare casi come quello delle 'zero tasse' versate dalla filiale irlandese del gruppo fondato da Bill Gates grazie alla residenza legale (senza un singolo dipendente impiegato) stabilita nelle Bermuda.
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