Dopo il boom legato alla pandemia, lo smart working non decolla. In Italia solo il 14,9% degli occupati, nel 2021, svolge parte dell'attività lavorativa da remoto, anche se la platea potenziale potrebbe essere di quasi il 40%.
È quanto emerge dalle ultime analisi Inapp presentate nel corso della giornata di studi "Lavoro agile, definizioni ed esperienze di misurazione", sottolineando che la quota, dunque, resta minoritaria. Nel 2020 il ricorso al lavoro agile è esploso, passando dal 4,8% dell'anno precedente al 13,7%.
L'Italia, che nel 2019 aveva percentuali al di sotto della media europea, con l'emergenza sanitaria ha quindi raddoppiato tali valori, ma nel 2021 il tasso di crescita è decisamente rallentato.
"Un'occasione non pienamente sfruttata, almeno per il momento - ha dichiarato il presidente dell'Inapp, Sebastiano Fadda -.
Svolgere una professione teoricamente telelavorabile è una condizione spesso necessaria, ma non sufficiente, perché si abbia la possibilità di sperimentare il lavoro da remoto. Dai dati non emerge quel cambio di paradigma lavorativo che la pandemia sembrava aver innescato, almeno nel nostro Paese: è come se durante la pandemia avessimo vissuto in 'una grande bolla' e il ritorno alla normalità stesse vanificando le potenzialità del lavoro a distanza, a causa di una ridotta capacità di introdurre radicali innovazioni nell'organizzazione del lavoro che preveda una combinazione di fasi di lavoro da remoto con fasi di lavoro in presenza".
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