S&p conferma il rating sull'Italia, che rimane fermo a BBB, e mantiene anche stabili le valutazioni sulle prospettive del Paese. Le previsione di crescita rallentano, ma questo non cambia il 'voto' sulla capacità del Paese di gestire il proprio debito nei confronti del mercato. Di fatto il primo giudizio sui conti pubblici dopo Nadef e manovra conferma le aspettative del governo, che - come emerge da quanto affermato più volte dalla premier Giorgia Meloni e dal titolare del Mef, Giancarlo Giorgetti - resta convinto di aver agito con equilibrio e prudenza. Due tratti evidenti che, secondo il ministro dell'Economia, le agenzie di rating non possono ignorare.
La stagione delle valutazioni sull'Italia si apre con Standard & Poor's. Per l'agenzia di rating, la crescita economica italiana decelererà nel 2023 e nel 2024: il Paese crescerà dello 0,9% quest'anno e dello 0,7% il prossimo, ma poi tornerà all'1,3% nel 2025. Il consolidamento di bilancio sarà più lento del previsto - aggiunge S&P - con un deficit al 5,5% del pil nel 2023, le cui colpe, per un ulteriore 0,8%, viene attribuito all'effetto degli incentivi per il Superbonus.
L'attenzione maggiore viene riservata al debito: "la sua sensibilità alle condizioni del mercato resteranno elevata", secondo l'analisi di S&P.
Ma leggendo tra le righe del comunicato dell'Agenzia di rating non si scopre nulla che lo stesso ministro Giorgetti non abbia già detto, anche in Parlamento. "Abbiamo scritto una legge di bilancio correttamente impostata e a nostro giudizio troverà la valutazione onesta delle agenzie di rating che l'hanno letta e di certo non basano le loro valutazioni sul gossip e i titoli scandalistici", ha detto Giorgetti, che da tempo incontra con regolarità le agenzie di rating per "dimostrare la credibilità e solidità" del Paese.
Il governo, con la Nadef prima e con la manovra poi, ha puntato a inviare messaggi rassicuranti alle istituzioni internazionali e agli investitori. E lo ha fatto addirittura "prendendo a schiaffoni" i ministri e le loro richieste, disse Giorgetti usando una metafora colorita proprio per spiegare che l'attenzione è prima di tutto rivolta alla prudenza. Le risorse sono poche e l'Italia non può permettersi fughe in avanti sulla spesa proprio nell'anno in cui ritornerà il Patto di Stabilità.
Vecchio o nuovo che sia, le regole imporranno di ridurre non solo il debito ma anche il deficit, che l'anno prossimo l'Italia ha fissato al 4,3%, ben sopra la soglia di Maastricht. Non conoscendo ancora il tipo di vincoli europei che entreranno in vigore l'anno prossimo, il governo ha deciso di rinviare al prosieguo della legislatura gli obiettivi più costosi, come la riforma delle pensioni.
Ma è una cautela che potrebbe non bastare. Il quadro generale non è né semplice, né rassicurante: due guerre in corso, l'inflazione ancora alta che costringerà a mantenere i tassi alti più a lungo, l'inverno che sta arrivando e rischia di spingere il costo dell'energia. Tutti elementi che pesano sullo scenario di crescita, secondo alcuni già troppo ottimista, visto che il governo vede un Pil in aumento dell'1,2% nel 2024, contro le stime più recenti di Bankitalia che vede appena uno 0,8% e del Fondo monetario internazionale che lo ferma a 0,7%. Se l'Italia non dovesse crescere quanto previsto dal governo, a cascata il problema si riverserebbe anche sul debito, il cui calo moderato già sconta il macigno delle spese per il Superbonus.
Dopo il giudizio di S&P, la prossima settimana toccherà a Dbrs. Per l'agenzia canadese, che a maggio aveva promosso la capacità di resistenza della nostra economia, il rating dell'Italia è al livello di BBB High con trend stabile: il 27 ottobre svelerà la propria revisione. Il 10 novembre sarà invece la volta di Fitch, che il 12 maggio scorso ha confermato il rating a BBB con prospettive stabili. Ma la data cui si guarda con più preoccupazione è il 17 novembre, quando arriverà il voto di Moody's: l'agenzia è di fatto in stand by da maggio, quando decise di non aggiornare il rating. L'attuale giudizio classifica l'Italia a Baa3 con prospettive negative e a fine aprile la stessa agenzia evidenziava in un report come l'Italia fosse l'unico Paese tra quelli 'coperti' a rischiare "di perdere l''investment grade". Un eventuale declassamento collocherebbe l'Italia nella categoria 'junk'.
"Preoccupati non siamo, dobbiamo essere attenti, perché sappiamo bene che i mercati internazionali sono un termometro, un indicatore delle condizioni in cui siamo", e "in questo momento gli spread viaggiano sui 200 punti. E anche un anno fa eravamo a 200 punti", ha detto il ministro dell'Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto. "Quello su cui dobbiamo fare attenzione è la parte dei tassi perché l'inflazione, il venir meno da parte delle Bce degli acquisti, ha generato che i tassi siano saliti, e per chi ha tanto debito storico come l'Italia, che sfiora i 3.000 miliardi, i tassi pesano sul bilancio dello Stato", ha spiegato.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA