La vigilanza Bce in primis, dotata dopo la crisi finanziaria di ampi poteri, la Costituzione le norme Ue sulla concorrenza e, da non sottovalutare, il mercato e la fiducia dei risparmiatori. La strada per imporre, in maniera unilaterale da parte del governo, una nuova tassa sulle banche per colpirne i maggiori utili, è costellata degli stessi ostacoli e paletti che lo scorso anno costrinsero l'esecutivo Meloni a rivedere il decreto in maniera sostanziale portando a zero il gettito per lo Stato.
Difficile dire quindi - se dovesse arrivare una imposta sulle aziende, le banche e le assicurazioni con maggiori utili - quale potrebbe essere la strada per evitare una nuova bocciatura e quale potrebbe essere il gettito per le casse dello Stato. Non è chiaro il parametro da utilizzare come base imponibile e su cosa calcolare il presunto 'extraprofitto' (termine di per sè contestato dai diretti interessati) specie se questo sia la differenza fra la crescita dell'utile e il tasso di inflazione.
Se nel 2023 le banche hanno messo a segno oltre 40 miliardi di utili grazie soprattutto ai tassi alti, il 2024 seppure non sugli stessi livelli, vedrà ottimi risultati di poco inferiori.
Una imposta aggiuntiva nel 2024 (anche se lo scorso anno si parlava di 'una tantum', caratteristica che fu molto criticata dalla Bce) dovrebbe comunque considerare come base d'imposta l'utile. La scelta di tenere in conto il margine di interesse, nella precedente versione, era stata adottata per castigare chi aveva 'speculato' sui tassi, ed era stata infatti molto criticata da Francoforte nella memoria al governo, e dall'Abi in audizione al Parlamento. L'effetto distorsivo e paradossale risultante era oltretutto quello di pesare di più sulle banche che concedevano più crediti e più piccole, maggiormente legate al territorio, spesso esaltate dalle forze politiche.
Lo scorso anno la fine le banche scelsero tutte la strada di accantonare più capitale che servì a soddisfare, ad aprile 2024, la richiesta della Banca d'Italia di una riserva aggiuntiva per far fronte a rischi sistemici.
Altro aspetto incandescente, ora e allora, è la situazione di minor concorrenza rispetto alle rivali europee con una tassazione ordinaria, lamentata dall'Abi, che è già superiore.
L'associazione, nella sua memoria tecnico-giuridica aveva paventato anche l'incostituzionalità della norma rispetto all'articolo 42 della Carta (quello sulla proprietà) di norma dal "carattere espropriativo" della ricchezza prodotta. Con meno profitti e meno utili distribuiti e accantonati, era stata poi la critica quasi unanime dell'istituto centrale e del mondo bancario, si poteva innescare un circolo negativo che avrebbe portato meno credito erogato in una fase dove i finanziamenti, anche per il calo della domanda da famiglie e imprese, erano già in ribasso.
E poi c'è il mercato. Investitori e risparmiatori non amano mai le misure improvvise che alterano le prospettive di redditività su un titolo o un investimento specie se, come nel caso della tassa, c'erano stati nei mesi precedenti ampie rassicurazioni dallo stesso ministero dell'economia che la misura non sarebbe stata varata. Inevitabile quindi che dirottino le loro risorse su altri comparti o semplicemente su banche estere con un danno non solo ai singoli istituti ma per l'intero mercato finanziario italiano. La reazione a Piazza Affari in un mercato già alle prese con il rischio di recessione negli Usa e un cambio nella politica dei tassi della Fed, è sintomatica.
Una nuova misura quindi dovrebbe tenere conto di tutti questi fattori, non da ultimo i principi della delega fiscale varati dallo stesso governo.
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