I parlamentari di Fratelli d'Italia vogliono chiudere i negozi durante le principali festività dell'anno ed è subito polemica tra consumatori, associazioni di categoria e forze politiche. Con le voci fuori dal coro, però, di Coop e Filcams Cgil che in questo caso si trovano in linea con la posizione delle forze di governo. A scatenare il dibattito è la proposta di legge di FdI per cui negozi e altri esercizi commerciali dovrebbero restare chiusi per legge almeno durante le 6 principali festività nazionali, ovvero Natale, Santo Stefano, Capodanno, Pasqua, Primo Maggio e Ferragosto. E i trasgressori pagherebbero multe fino a 12 mila euro. In caso di recidiva, sarebbe prevista anche la chiusura dell'esercizio commerciale da uno a dieci giorni.
"Nell'elenco delle libertà che questo governo vuole sopprimere c'è anche quella dell'iniziativa economica" tuona il segretario di +Europa, Riccardo Magi. E osserva che la proposta di legge preclude a molti esercenti una importante fonte di introiti che si sposterebbe invece sul commercio online, con ricadute sui posti di lavoro e sugli stipendi.
Per il firmatario della proposta di legge Silvio Giovine, invece, si tratta di "un provvedimento di buon senso" per incidere soprattutto sulla qualità della vita dei lavoratori, "che hanno tutto il diritto di poter trascorrere queste giornate di festa con le proprie famiglie". E precisa che sono previste eccezioni per gli esercizi pubblici: "bar, ristoranti, gelaterie, pasticcerie, i negozi dentro stazioni e aeroporti, nelle aeree di servizio".
Favorevole all'ipotesi di chiusura è anche Coop, che apprezza la proposta e si dichiara disponibile a un confronto nel merito. "Siamo da sempre favorevoli a una migliore conciliazione fra tempi di vita e tempi di lavoro e riteniamo una norma di questo tipo non in contrasto con il principio di liberalizzazione".
E sulla stessa linea anche Filcams Cgil, che dice no alle aperture durante le festività e sottolinea l'importanza di una regolamentazione delle aperture per non delegare alle sole imprese la decisione di aprire o meno in maniera arbitraria. A suo parere infatti, la liberalizzazione delle aperture "non ha giovato né ai consumatori né alle imprese, spostando semplicemente le vendite dall'infrasettimanale alla domenica e ai festivi". Per questo il sindacato invita la politica ad agire mettendosi all'ascolto dei soggetti coinvolti.
Tra i consumatori, invece, il Codacons ritiene la proposta anacronistica, assolutamente sbagliata e pensa che rappresenterebbe un regalo ai giganti dell'e-commerce, a danno dei piccoli commercianti e dei consumatori. Ok alla necessità di combattere il precariato e lo sfruttamento dei lavoratori, dice il presidente Carlo Rienzi, "ma la soluzione non può certo essere un obbligo di chiusura imposto dall'alto".
Polemica anche Confimprese, che la taccia come "proposta anacronistica che non tiene conto delle dinamiche del retail e delle esigenze dei consumatori" con il rischio di perdere posti di lavoro e fatturati. Tra i contrari c'è poi il presidente del consiglio nazionale dei centri commerciali, Roberto Zoia secondo il quale non ci si sofferma sulle esigenze dei consumatori, sugli interessi delle imprese e sulle implicazioni sociali ed economiche. E ricorda che l'industria dei centri commerciali genera un impatto, in termini di occupazione, di quasi 750 mila addetti, tra personale diretto e indiretto, che vanno assolutamente tutelati garantendo il lavoro, non diminuendolo.
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