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Gli esperti, ecco i luoghi più a rischio
Irina Bokova (Unesco), ‘Difenderlo è importante per l’intera umanità'. A essere minacciate sono soprattutto, tra la Tripolitania e la Cirenaica, l'antica città di Gadames, i siti rupestri di Tadrat Acacus e quelli archeologici di Cirene, Leptis Magna e Sabratha, già patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco
Le immagini trasmesse della distruzione delle opere all’interno del Museo di Mosul in Iraq, hanno allarmato, seppure ce ne fosse stato bisogno, gli esperti che da anni si occupano dell’immenso patrimonio culturale, archeologico e storico della Libia. Se fino ad oggi la preoccupazione riguardava soprattutto il traffico illecito di opere, in particolare nella zona della Cirenaica, ora gli occhi sono puntati su quanto può accadere, per la presenza di jihadisti dell’Isis, tagliagole che potrebbero spazzare via secoli di identità culturali di popoli ed etnie con una ecatombe non solo di vite umane, ma anche - come più volte affermato da Mounir Bouchenaki, Direttore del Centro Regionale Arabo per il Patrimonio Mondiale - di testimonianze millenarie, nello stile delle guerre moderne che, “mirano ai simboli culturali perché la distruzione del patrimonio culturale di un popolo, simbolo della sua identità e delle sue tradizioni, equivale al suo annientamento non solo materiale, ma anche morale”.
E sono, infatti, numerosi i siti della Libia, già presenti nell’elenco dell’Unesco, perché dichiarati ‘Patrimonio dell’Umanità’, ad essere esposti. In Libia ad essere minacciate sono soprattutto, tra la Tripolitania e la Cirenaica, l'antica città di Gadames, i siti rupestri di Tadrat Acacus e quelli archeologici di Cirene, Leptis Magna e Sabratha, già patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco. Ma non solo. Non a caso, nelle scorse settimane, il direttore generale dell’Unesco Irina Bokova, preoccupata della situazione di instabilità del paese e della presenza di terroristi senza scrupoli aveva lanciato un appello. “Il patrimonio della Libia – ha dichiarato - rappresenta “l'espressione di una memoria condivisa del Paese, e il suo rispetto rappresenta una pietra miliare per la lunga riconciliazione nazionale duratura”. Dopo Mosul l’appello si trasforma in un grido d’allarme. La responsabile Unesco per la Libia, l’italiana Chiara Dezzi Bardeschi segue dal Cairo l’evoluzione della situazione perchè da mesi “Non possiamo più entrare in Libia e la preoccupazione è che si disintegri quella rete di controllo di molti siti che faticosamente abbiamo contribuito a costruire, come Agenzia delle Nazioni Unite ma, soprattutto, con il programma finanziato dal governo libico e italiano”.
Dall’Italia l’apprensione per il rischio di veder distrutto un patrimonio notevole, e il lavoro di studio, recupero e formazione che da anni viene realizzato anche con finanziamenti italiani, viene da due delle maggiori esperte del patrimonio archeologico e culturale della Libia. Si tratta di Serenella Ensoli, docente della II Università di Napoli, archeologia classica e direttore della missione archeologica italiana a Cirene e Luisa Musso responsabile della missione archeologica dell'università Roma Tre a Leptis Magna e a Tripoli che l’ANSA ha consultato a proposito dei rischi che in Libia i siti archeologici e culturali corrono in questo periodo di forte instabilità e presenza di terroristi islamici. Due realtà locali – la Cirenaica e la Tripolitania - molto diverse.
La villa romana di Silin rappresenta un sito archeologico di primaria importanza per il patrimonio archeologico, storico e culturale della Libia in considerazione dell’unicità del complesso e della sua eccezionale relazione al contesto ambientale. Edificata nel II secolo d.C., costituisce un manufatto unico nel panorama mediterraneo per l’estensione e l’articolazione degli spazi, la ricchezza degli apparati decorativi e l’eccezionale stato di conservazione al momento della sua scoperta. Il complesso residenziale, scoperto fortuitamente nel 1974, sorge a pochi metri dal mare sulla riva sinistra dell’uadi Yala, nel territorio della cabila di Silin, ca. 10 km in linea d’area a ovest di Leptis Magna.
L’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro (ISCR) del MIBACT - che ha fornito le immagini e la documentazione - collabora dal 1999 con la missione archeologica dell’Università Roma Tre diretta dalla professoressa Luisa Musso per lo studio delle ville costiere del territorio di Silin (Libia) e per la redazione di una Carta Archeologica costiera e dei siti sommersi. Nel dicembre 2011, alla fine del conflitto armato, una missione congiunta composta dall’ISCR, dall’Università di Roma Tre e dall’Unesco ha effettuato un sopralluogo sul sito e ha denunciato le gravi condizioni delle strutture e degli apparati decorativi della villa.
A seguito di questo sopralluogo, l’ISCR, il Department of Archaeology, National Transitional Council of Libya e l’Università degli Studi di Roma Tre hanno firmato a Roma, il 23 aprile 2012, una Convenzione che vede le tre Istituzioni impegnate nell’attività di studio e restauro della Villa romana di Silin. I fondi fino ad ora stanziati dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo per la realizzazione di questo progetto ammontano a 432.790,40 euro.
Nella primavera 2014 era previsto di realizzare il riposizionamento del mosaico A1 del peristilio e il restauro dell’ambiente decorato con mosaico con scena di damnatio ad bestias. Le attività sono state sospese a causa dell’instabilità del Paese. Nell’attesa di completare il lavoro sul campo, è prevista la realizzazione di un volume in tre lingue (italiano, arabo e inglese) dedicato alla Villa, ai lavori e alle sperimentazioni svolte fino ad ora, che sarà pubblicato a cura dell’ISCR, del DoA e dell’Università Roma Tre. Barbara Davidde è il direttore dei lavori e Responsabile scientifico del progetto di restauro della Villa romana di Silin per l’ISCR.
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“Prima di assistere alla devastazione da parte dell’Isis del Museo di Mosul ero ottimista sulla possibilità che in Tripolitania il patrimonio culturale fosse al sicuro, ora la situazione è decisamente cambiata”, spiega Luisa Musso. “Se fino a qualche giorno fa ero convinta che la situazione non potesse degenerare a tal punto da colpire i simboli dell’identità e della cultura di quel popolo, ora sono realmente allarmata” spiega l’esperta. “Il gioco è sicuramente cambiato e tutto può succedere. Mi chiedo cosa si possa fare di fronte a quella che sembra una ‘guerra diversa’. Quanto accaduto a Mosul può effettivamente fare da detonatore – spiega Musso – e quindi innescare un effetto emulazione per l’impatto mediatico che può determinare”.
L’esperta spiega che “in queste settimane dalle autorità dei due governi libici arrivano molte sollecitazioni perché vi sia un intervento, dell’Unesco in particolare, ma soprattutto della comunità internazionale, perché si possa mettere in moto una strategia di difesa del patrimonio culturale e archeologico del paese”. Ma non è facile capire come intervenire. Musso ricorda che gli italiani non sono più potuti andare in Libia per ragioni di sicurezza e i contatti con i responsabili locali dei diversi siti non sono facili.
“Si tratta di capire come difendere il patrimonio, trasferire oggetti? Blindare i siti? – si chiede Musso – Non è facile immaginare cosa fare, di sicuro è necessario intervenire presto” anche se “stando a quanto riferiscono i libici in Tripolitania, regione Occidentale della Libia, “le aree sono oggi molto protette – spiega Musso – i siti archeologici sono stati svuotati e chiusi, non c’è nulla da rubare” e in questo senso la situazione appare ancora abbastanza rassicurante”, mentre in Cirenaica “la realtà appare molto peggiore”.
La villa romana di Silin
L’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro (Iscr) del Mibact collabora dal 1999 con la missione archeologica dell’Università Roma Tre per lo studio delle ville costiere del territorio di Silin (Libia) e per la redazione di una Carta Archeologica costiera e dei siti sommersi. Nel dicembre 2011, alla fine del conflitto armato, una missione congiunta composta dall’ISCR, dall’Università di Roma Tre e dall’Unesco ha effettuato un sopralluogo sul sito e ha denunciato le gravi condizioni delle strutture e degli apparati decorativi della villa. A seguito di questo sopralluogo, l’ISCR, il Department of Archaeology, National Transitional Council of Libya e l’Università degli Studi di Roma Tre (prof.ssa Luisa Musso) hanno firmato a Roma, in data 23-04- 2012, una Convenzione che vede le tre Istituzioni impegnate nell’attività di studio e restauro della Villa romana di Silin.
La villa romana di Silin rappresenta un sito archeologico di primaria importanza per il patrimonio archeologico, storico e culturale della Libia in considerazione dell’unicità del complesso e della sua eccezionale relazione al contesto ambientale. Edificata nel II secolo d.C., costituisce un manufatto unico nel panorama mediterraneo per l’estensione e l’articolazione degli spazi, la ricchezza degli apparati decorativi e l’eccezionale stato di conservazione al momento della sua scoperta. Il complesso residenziale, scoperto fortuitamente nel 1974, sorge a pochi metri dal mare sulla riva sinistra dell’uadi Yala, nel territorio della cabila di Silin, ca. 10 km in linea d’area a ovest di Leptis Magna. I fondi fino ad ora stanziati dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo per la realizzazione di questo progetto ammontano a 432.790,40 euro.
Nella primavera 2014 era previsto di realizzare il riposizionamento del mosaico A1 del peristilio e il restauro dell’ambiente decorato con mosaico con scena di damnatio ad bestias. Le attività sono state sospese a causa dell’instabilità del Paese. Nell’attesa di completare il lavoro sul campo, è prevista la realizzazione di un volume in tre lingue (italiano, arabo e inglese) dedicato alla Villa, ai lavori e alle sperimentazioni svolte fino ad ora, che sarà pubblicato a cura dell’Iscr, del DoA e dell’Università Roma Tre. La dottoressa Barbara Davidde è Direttore dei Lavori e Responsabile Scientifico del progetto di Restauro della Villa romana di Silin per l’Iscr.
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La Cirenaica ha già subito, durante la Rivoluzione del 2011, “danneggiamenti e furti di opere di inestimabile valore, si pensi – spiega Serenella Ensoli – al furto del ‘Tesoro di Bengasi’. Già allora organizzammo in Italia un Convegno internazionale promosso dalla Seconda Università di Napoli e dall’Unesco (Complesso Monumentale del Belvedere di S. Leucio, 1-2 luglio 2011: “For the Preservation of Cultural Heritage in Libya. A Dialogue among Institutions) e poi, il 21 ottobre 2011, nella sede Unesco di Parigi, una ‘Giornata mondiale’ sui Beni Culturali della Libia, proprio il giorno dopo che Gheddafi fosse ucciso, per dare un allarme forte dei rischi ai quali erano esposti i siti archeologici e quanto lì custodito. Oggi il problema in Cirenaica non è semplice. L’emergenza è soprattutto legata al traffico di opere d’arte, anche di falsi purtroppo”.
“Dal 2014 tra l’altro nessuno di noi può rientrare in Libia – spiega la ricercatrice - . Il Dipartimento alle Antichità libico è impegnato nella salvaguardia del proprio patrimonio, al punto che i funzionari dormono nei musei per custodirli. A Cirene hanno addirittura ‘saldato’ le porte dei magazzini archeologici che non possono proteggere, e la situazione però potrebbe peggiorare”. Il timore “è che possano essere distrutte nuove tombe per recuperare corredi da portare fuori del Paese. Il tema dei furti è purtroppo molto attuale. Per consentire all’Interpol di rintracciare le opere di valore trafugate, ho personalmente effettuato ricerche approfondite nell’Archivio Storico-Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri, reperendo ben cinque inventari del ‘Tesoro Archeologico della Libia’ e recuperando le immagini degli oggetti grazie alle indagini scientifiche effettuate negli archivi di Cirene”.
“Il rischio per i Beni Culturali della Libia è quindi certamente grande. C’è da sperare che questi terroristi non capiscano l’importanza delle opere e dei tesori. Io personalmente dirigo cinque cantieri finanziati dalla Direzione generale Sistema Paese (DGSP)" del Ministero degli Affari Esteri, dalla II Università di Napoli e, sino al 2010, dalla Global Heritage Fund (Palo Alto, California), ma abbiamo sospeso gli scavi, come da ‘Recommendation’ dell’Unesco, per dare invece avvio a Corsi di Training strutturati e survey [ sopralluoghi?] per ‘mappare’ le aree archeologiche a rischio (il Report che inviai nel 2013 all’Unesco in merito ai danneggiamenti, ai beni trafugati e all’occupazione di case abusive nella ‘buffer zone’ produsse una lettera incisiva di Irina Bokova a Zeidan, allora premier del governo libico)”.
“Già la Rivoluzione del 2011 era stata un grave danno per tutti i programmi in corso, basti pensare – spiega Ensoli - che eravamo riusciti ad ottenere (per la prima volta nella storia del governo Gheddafi) disponibilità di risorse economiche da imprenditori libici, accettate dal Dipartimento alle Antichità della Libia, fatto straordinario, per finanziare gli interventi nei siti archeologici, ma tutto venne bloccato solo pochi giorni dopo, il 17 febbraio 2011 con l’inizio della Rivoluzione”.
“Io spero che questi terroristi del presunto Stato Islamico non arrivino a pensare, a capire l’importanza del patrimonio culturale presente in Libia. Gheddafi si dice usasse i siti archeologici anche come nascondiglio, perché non venivano bombardati e in tal modo anche lui sarebbe stato protetto. La verità è solo nella storia”. Certo è che il primo volume sulle ricerche attorno al ’Tesoro Archeologico della Libia’, pubblicato dalla Ensoli in occasione del Centenario delle Missioni Archeologiche Italiane in Libia (1913-2013), resta una testimonianza molto importante di ‘restituzione virtuale’ di documenti di primario interesse per i Beni Culturali del Paese: una prima opera di ‘salvataggio’.
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In coincidenza con gli eventi che hanno portato alla rivoluzione del 17 febbraio 2011, il deterioramento, la distruzione e i saccheggi nei siti archeologici, così come il traffico illecito di beni culturali sono stati evidenziati come principali minacce imminenti.
Dopo la caduta del regime di Muhammar Gheddafi e dopo che si sono ristabilite condizioni di sicurezza in Tripolitania e in Cirenaica, nel 2011 erano state in parte riattivate le iniziative di ricerca, attraverso le missioni archeologiche, affiancate da attività condotte da organismi internazionali tesi ad arginare i mercati clandestini. Le linee guida ed il piano d'azione di emergenza sono stati individuati attraverso riunioni di esperti internazionali, consultazioni con il Dipartimento delle Antichità della Libia, e missioni di esperti, realizzate tra il 2011 ed il 2013.
“La documentazione e la gestione dei beni culturali, la protezione dei siti e la conservazione di beni mobili sono state identificate dal Dipartimento delle Antichità come principali aree prioritarie per la formazione. Su questa base – spiega Chiara Dezzi Bardeschi, responsabile del progetto Unesco in Libia - l’Agenzia delle Nazioni unite ha sviluppato un programma di formazione con l'obiettivo di assicurare la manutenzione delle collezioni ed indirizzato al personale da vari musei e siti del paese, con l'istituzione di laboratori di conservazione e la definizione di liste di priorità per oggetti, monumenti ed edifici storici danneggiati.”
Su questa base, grazie al sostegno finanziario del Governo italiano attraverso il canale multilaterale, una componente del programma Unesco è stato indirizzata alla formazione di capacità nazionali mirate, inclusi i corpi specializzati per la protezione del patrimonio culturale. Secondo i principi fondativi dell’Unesco eguale attenzione è stata rivolta ad attività di sensibilizzazione della comunità civile sull’importanza alla protezione e la salvaguardia del patrimonio.
“Sono stati 150 ex-combattenti e giovani in cerca di lavoro nel settore della cultura coinvolti in progetti pilota hanno avuto lo scopo di fornire una conoscenza di base sulle tecniche per la conservazione dei beni mobili sollecitare l’attenzione sull’importanza su vari aspetti della tutela e valorizzazione (conservazione, presentazione, l'interpretazione, la strategia di comunicazione, etc.) di siti e musei. L’attività – sottolinea Dezzi Bardeschi - si è svolta in Libia, sui siti di Leptis Magna e Villa Silin, nel 2013. Il corso di formazione ha contribuito, inoltre, alla creazione di un laboratorio di restauro del Dipartimento”.
Nell’ambito dello stesso programma “70 partecipanti provenienti da diverse istituzioni pubbliche - dalla polizia di frontiera , alle dogane e al corpo specializzato della gendarmeria per il turismo e le antichità, come pure gli organi di polizia giudiziaria, la sezione Interpol nazionale e le associazioni della società civile, insieme ai rappresentanti del Congresso Generale Nazionale, del Ministero della Difesa, e ricercatori universitari e professori di archeologia -, hanno partecipato ad un seminario introduttivo sulla prevenzione e la lotta contro il traffico illecito di beni culturali, a Tripoli, presso il Museo della Libia. L’Interpol, l'Organizzazione mondiale delle dogane, Unidroit e Carabinieri italiani, insieme ai rappresentanti delle missioni archeologiche italiane in Libia, hanno avuto un ruolo fondamentale sia scientifico che di informazione. Fino all’inizio del 2014 i siti del patrimonio mondiale di Sabratha e Cirene sono stati teatro di formazione rivolta al personale selezionato da diversi corpi di diverse istituzioni pubbliche (come le amministrazioni doganali e di polizia) dalle regioni Tripolitania e del Fezzan. “Siamo arrivati a definire un piano d'azione con misure urgenti per rafforzare la protezione dei siti e una campagna educativa di sensibilizzazione deve attendere necessariamente attendere quelli che saranno i nuovi assetti della regione” , ricorda Dezzi Bardeschi.
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