(di Ugo Caltagirone)
I raid aerei contro i jiahdisti in Iraq e in Siria vanno avanti quasi senza sosta. Mentre la coalizione internazionale contro l'Isis sembra prendere corpo in maniera sempre più consistente: non solo con il sì del Regno Unito a partecipare ai bombardamenti, ma anche con un maggior coinvolgimento della Turchia che evoca persino un intervento di terra. E, seppur non ufficialmente, partecipa alla campagna anti-jihadista anche l'Iran, che si dice pronto a intervenire se le milizie dello Stato islamico si avvicineranno alla frontiera.
Considerando l'appoggio dei Paesi arabi che negli ultimi giorni hanno affiancato gli Usa nei raid, il fronte sembra assumere una compattezza fino a pochi giorni fa insperata. Anche se le difficoltà a mettere insieme tanti Paesi diversi restano.
Mentre dalla tribuna dell'Assemblea generale dell'Onu il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, sferra un duro attacco agli Stati Uniti: "Di fatto - denuncia - Washington ha apertamente dichiarato il suo diritto di usare la forza unilateralmente ovunque nel mondo per difendere i suoi interessi".
Parole che si inquadrano nel nuovo clima da 'guerra fredda' tra Washington e Mosca, ma che restano quasi isolate nell'ambito della comunità internazionale, in grandissima parte compattatasi di fronte alla minaccia comune dell'estremismo islamico.
Così, tra venerdì e sabato - come ha confermato dalla Florida il Central Command del Pentagono (CentCom) - i caccia Usa e quelli di tre Paesi arabi (Giordania, Arabia Saudita ed Emirati arabi) hanno bombardato e centrato diverse postazioni dell'Isis ancora nella zona di Raqqa, città del nord della Siria capitale del 'califfato' di al Baghdadi. E per la prima volta i raid hanno interessato le regioni siriane di Homs e di Aleppo. Raid che dovrebbero aiutare le operazioni dei ribelli filo-occidentali sul campo (quelli che la coalizione internazionale sta armando), ma che secondo alcuni osservatori rischiano di creare ancor più confusione in un Paese dove è ancora in corso una guerra civile contro il regime di Bashar al Assad. Insomma, il pericolo è quello di un "tutti contro tutti".
Intanto il premier turco Recep Tayyp Erdogan ha ribadito come il suo Paese è pronto a dare il suo contributo. Un cambiamento di strategia da parte di Ankara, dopo la liberazione degli ostaggi turchi in mano ai jihadisti. Era stata proprio la preoccupazione per la sorte dei rapiti che fino ad ora aveva suggerito ad Erdogan un atteggiamento prudente. Ora il premier turco si è spinto addirittura ad ipotizzare un intervento di terra delle forze armate del suo Paese per cacciare i militanti dell'Isis da alcune aree al confine con la Siria in modo da creare una "zona di sicurezza" per i profughi in fuga. E anche Tehran, le cui milizie sono in realtà già impegnate nella battaglia contro i jihadisti, ha messo in guardia i leader dell'Isis: se vi avvicinerete ai nostro confini, vi attaccheremo in territorio iracheno.
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