La dipingono come la culla dell'islamismo radicale belga e Molenbeek, il comune-quartiere di Bruxelles che lambisce il centro della città, si sveglia all'indomani della retata anti-terrorista con i segni tangibili della tensione. La centrale della polizia, obiettivo dei presunti terroristi, è transennata, 4 commissariati chiusi e le pattuglie raddoppiate. Attorno alla centrale, la vita della comunità musulmana continua invece quasi normalmente, scandita dal rito del venerdì di preghiera, ma condito dalla rabbia di chi si sente ostaggio di uno stereotipo.
"Ci sono dei preti pedofili ma non tutti i preti sono pedofili, è la stessa cosa con i musulmani: ci sono tre dementi che fanno attentati gridando Allah Akbar ma mica siamo tutti dei terroristi, il problema è che la stampa e alcuni politici ci mettono tutti nello stesso sacco". Alì ha 32 anni, origini marocchine come la maggior parte degli immigrati del quartiere, nato e cresciuto a Molenbeek, lavora per il comune come operatore sociale. "Questi tre dementi rendono tutto più difficile, noi già facciamo fatica a stare dietro ai giovani, a non perderli, d'ora in avanti sarà solo peggio". Alì è seduto a uno dei caffè del Parvis Saint-Jean Baptiste, una delle chiese del quartiere, è arrabbiato e non lo nasconde.
"Qui il problema non è l'islam è la crisi, il lavoro, l'istruzione". Sorseggia un te' alla menta e intorno a lui sfilano spacciatori e venditori di carte sim. "Non c'è futuro", lo interrompe Karim, 28 anni ed anche lui marocchino di origine.
"Guarda mia sorella, ha 14 anni è in una buona scuola, ma lì ci sono due classi, una da Serie A per i belgi al 100% e una da Serie B per i figli di immigrati. Qui non ci sono buoni esempi, non c'è qualcuno che ce l'ha fatta e senza esempi finisci male".
Il 30% della popolazione di Molenbeek è di religione musulmana, ma l'impressione è che i numeri mentano: pescherie, macellerie, negozi, bar, ristoranti tutti hanno l'insegna in arabo e poi in francese, le donne portano quasi tutte il velo e la Chaussée de Gand, l'arteria principale del comune, sembra un gran bazar di una città nordafricana anche se è la via che da nord conduce direttamente al centro della capitale d'Europa. In questa fetta di Bruxelles il radicalismo ha tre nomi.
Inanzi tutto Bassam El Ayachi, predicatore siriano arrestato a Bari nel novembre 2008 e prima attivo qui nel reclutamento di giovani per l'Iraq e l'Afghanistan. Poi Sharia4Belgium, organizzazione nata ad Anversa ed ora affiliata all'Isis. E infine quello più sfuggente di internet. "Le moschee sono controllate, se ci sono degli Imam radicali siamo noi i primi a perseguirli", spiega Jamal Habbachich, presidente del Consiglio delle moschee di Molenbeek. È appena finita la preghiera del venerdì. Habbachich, origine marocchine anche lui, professore di arte e cultura islamica all'Accademia di Bruxelles, saluta i fedeli e riprende a spiegare. "El Ayachi è fuori gioco, tre anni fa abbiamo fatto piazza pulita di Sharia 4Belgium cacciandoli, il problema rimane internet ma soprattutto altri tre: scuola, lavoro e povertà". A Molenbeek due giovani su cinque sono disoccupati, a Bruxelles il 65% degli studenti di origine straniera non conclude gli studi e il 20% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. "Fallimento scolastico, discriminazione sul lavoro, povertà, tutto ciò favorisce la deviazione: i nostri giovani finiscono nella delinquenza o, grazie a internet, radicalizzati nei social network: è un'intossicazione di massa".
Una decina di giovani sono partiti da Molenbeek per la Siria.
Per gli altri le sfide non mancano. "Abbiamo paura ? Sì, ce l'abbiamo, cresce la tensione contro la nostra comunità, ma anche noi musulmani abbiamo molti problemi, dobbiamo parlare ai nostri giovani, formarli, aprirli al mondo prima che credano che il mondo di internet sia quello vero".
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