Lo sheikh Nimr al-Nimr, la cui esecuzione in Arabia saudita ha scatenato la protesta degli sciiti di tutto il mondo e dell'Iran, era stato la voce, incendiaria ma non violenta, della folta comunità sciita dell'Arabia saudita, era stato l'anima e l'animatore delle grandi proteste contro l'intransigenza sunnita del Regno, per il quale era diventato una bestia nera. Tanto da far decidere alla monarchia di creare un martire. In carcere da tre anni e mezzo, il ruolo di grande leader politico dei circa due milioni di sciiti Nimr se lo era conquistato nelle grandi proteste di piazza del 2011. Dell'allora onda montante delle 'Primavere Arabe' colse la spinta per rivendicare la parità fra sciiti e sunniti e la fine delle discriminazioni e delle violenze. I suoi collaboratori lo descrivono come sempre attento a misurare le parole, a 'contenere' il potenziale galvanizzante dei suoi pubblici discorsi, a evitare qualunque incitamento alla violenza e a preferire la resistenza passiva e la protesta pacifica. In un comizio, poi represso dalla polizia, incitò i suoi sostenitori ad affrontare i proiettili con il "ruggito delle sole parole" e più di una volta ha ammonito la monarchia sunnita del pericolo di venire travolta dal "risveglio" sciita se non avesse fermato lo "spargimento di sangue" della repressione. Fu arrestato nel luglio del 2012 con l'accusa di "sedizione" e di aver istigato il disordine per aver "incoraggiato, guidato e preso parte a manifestazioni" e per aver "disobbedito ai regnanti". Nell'occasione il religioso fu ferito dalla polizia. La moglie, Muna Jabir al-Shariyavi, morì a New York mentre lui era in carcere. E Nimr, per protesta, appoggiato da un'ondata di solidarietà riscossa oltre che degli sciiti, anche organizzazioni per i diritti umani di tutto il mondo, che hanno visto nel suo arresto un clamoroso giro di vite della monarchia saudita su ogni forma di dissenso, ha iniziato uno sciopero della fame. Nell'ottobre del 2014 è arrivata la sentenza di morte, pronunciata da un tribunale speciale. Nimr era nato nel 1960 nella regione orientale saudita di Qatif, dove vive il grosso della comunità sciita. Studiò teologia in Iran fra il 1979 e poi si spostò in Siria, per tornare in Arabia saudita solo nel 1994. Divenuto nel frattempo imam, da allora iniziarono i suoi problemi con le autorità del suo Paese per le sue rivendicazioni di parità religiosa fra le due grandi comunità dell'Islam. Fu arrestato una prima volta nel 2003 per una preghiera sciita in pubblico e di nuovo nel 2009 in seguito a tafferugli fra pellegrini sciiti e forze dell'ordine. Ogni volta cresceva la sua fama e il suo ascendente sulla sua comunità.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA